Contenuti, contenuti e ancora contenuti. Ma anche persone, risorse e responsabilità sociale d’impresa. Insomma, in una sola parola: sostanza.

Ne stiamo parlando ampiamente e in tutti i modi possibili, il “fumo negli occhi” non funziona più, o meglio non è più sufficiente. Per quanto un brand possa essere affermato non ha futuro sul lungo termine, se non supportato da un forte lato “umano”.

La scorsa settimana vi ho parlato del ruolo del consumatore, oggi vi parlo dei dipendenti, da una parte coinvolti nella co-creazione e nello sviluppo del brand, dall’altra nell’employee advocacy, ovvero l’attività svolta sui social dai dipendenti stessi di un’azienda per rafforzarne l’immagine. Ma procediamo con ordine.

Cosa significa co-creare?

Se cerchiamo la semplice definizione su Wikipedia, scopriamo che: “La Co-creazione è una forma di mercato o di strategia di business e di marketing che enfatizza la generazione e la realizzazione di un valore aziendale condiviso con il cliente”.

Tale concetto portato a un livello più alto e, passatemi il termine, decisamente più “illuminato”, volge il proprio sguardo all’interno delle aziende stesse e coinvolge anzitutto le persone che diventano parte attiva nel processo di creazione del brand o di servizi specifici.

Esattamente l’approccio che, a parer mio (e di molti altri NdR.), ha contribuito al successo e all’affermazione di LUX* Resorts & Hotels, il brand di hotel e resort di lusso dallo stile fresco e vitale. I famosi plus riconosciuti in tutto il mondo e che caratterizzano una vacanza LUX* – tra cui il gelato artigianale ICI, l’albero dei desideri, il Cinema Paradiso all’aperto, la cabina telefonica gratuita London style che davvero ti mette in condizione di “dimenticare” a casa il telefonino, qualora lo desideri, e ancora il Cafè LUX* che stravolge il concetto di check-in trasformando una pura formalità, in una calda accoglienza – non sono altro che il frutto di un lungimirante programma aziendale.

Avete capito bene: le idee arrivano dai dipendenti che contribuiscono attivamente alla costruzione di un’offerta di lusso che sia davvero in grado di fare la differenza, di andare oltre le semplici esigenze o le aspettative di un viaggiatore, aggiungendo dettagli capaci di trasformare l’ordinario in straordinario, garantendo sempre la possibilità di poter scegliere.

Veniamo adesso al secondo aspetto.

Quanto rende l’employee advocacy?

Non più tardi di nove mesi fa Linkedin pubblicava dati interessanti: dal monitoraggio di ben 2.800 corporate si riscontrava che un contenuto veniva cliccato dagli utenti il doppio delle volte, quando a condividerlo era un dipendente; mentre se a postarlo era l’account dell’azienda stessa i click si dimezzavano. In sostanza oggi il dipendente è il primo ambasciatore di un’azienda, trasformandosi potenzialmente in un influencer, nonché in un vero e proprio media.

Facile sulla carta. Eppure tantissime aziende ci provano e non riescono. Perché? Negli USA per esempio è una pratica molto diffusa, non mancano gli esempi di successo, da Cisco a IBM che ha anche integrato logiche di gamification per incentivare i dipendenti.

Perché un dipendente dovrebbe promuovere la propria azienda?

Le motivazioni possono essere numerose e con una buona strategia l’employee advocacy può dare grandi risultati, ma prima di tutto le aziende dovrebbero porsi alcune domande: ci sono le condizioni etiche perché ciò avvenga? Il mio staff si sente apprezzato? In termini puramente valoriali, riesco a trasmettere ai miei dipendenti in cosa facciamo la differenza rispetto alla concorrenza?

Ilenia La Leggia

 

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