In realtà avrei dovuto invertire le due parti del titolo, perché il senso di quanto sto per scrivere è “go paperless”, sì, ma “keep calm”. Lo spunto mi è venuto da un interessante seminario a cui ho preso parte a Convene, la fiera del Mice baltico da cui vi scrivo, a cura di John Martinez di Shocklogic. L’obiettivo del seminario era di demistificare la tecnologia, riducendola a quello che realmente è (cioè tantissimo, beninteso) senza indulgere alla tentazione di renderla assoluta.
Da tempo sono un convinto sostenitore di questa tesi. Ci si riempie la bocca di tecnologia come se costituisse tutto in se stessa, e non un supporto da utilizzare al meglio per ottimizzare sforzi di immagine e contenuto.
Molti anni fa seguivo in TV l’intervista a un noto cantautore, il quale, alla domanda “qual è il vero punto di forza del tuo tour” così rispose: “c’è tantissima tecnologia sul palco”.
A costui oggi vorrei far notare che di quel suo tour nessuno si ricorda più, mentre dei concerti dei Beatles, tecnologicamente meno di zero, tutti sanno tutto, anche i tanti che non erano neppure nati ai tempi dei Fab Four, e l’anno scorso è pure uscito un filmone di Ron Howard a proposito.
Ma l’abbrivio a scriverci sopra me l’ha data la frase che ho sentito non più tardi di nove giorni fa. Ero a una site inspection in un’importante location del nord Italia, quando il general manager sentenziò: “non facciamo più inviti ai giornalisti, ci concentriamo sugli influencer”.
Ovvio che questo manager non parlava degli influencer veri, certificati dai social. Non parlava di Donald Trump, dello sceicco di Dubai o della Ceo di Nasdaq, perché costoro non verrebbero a fargli da promoter. Parlava di quanti si spacciano per influencer, ossia, mediamente, della casalinga di Voghera che non avendo niente da fare ha trovato il tempo e il modo di costruirsi una rete di 50mila follower su Instagram.
Trovo pericolosissimo che presso dirigenti di alto livello stia prendendo piede un’idea del genere: come se siffatti millantatori potessero, per l’awareness di un centro congressi o di una destinazione, fare più del Corriere o di Repubblica.
Sforziamoci di pensare che la tecnologia è un mezzo, non un fine. Sempre e solo un mezzo. Ai tempi di Gutenberg la tecnologia d’avanguardia erano i libri. E tali sono rimasti sino a fine Ottocento, quando sopravvennero la luce elettrica e gli orologi da polso. Eppure a nessuno dei padri fondatori degli Stati Uniti, riunitisi a Filadelfia nel 1776, venne mai in mente di dire che il plus di quella convention fosse la qualità della pergamena su cui veniva stesa la Costituzione.
Questo, semplicemente, perché il vero plus era ciò che quella pergamena conteneva, cioè la Costituzione stessa, con la sua modernità a tutt’oggi unica.
Invece, nella nostra industria Mice, ci sono clienti e agenzie capaci di sostenere che il loro evento sia memorabile per aver raggiunto questo o quel livello di viralizzazione su Facebook o Twitter.
E’ tale il fascino di questi strumenti e dei telefonini che li veicolano, da far perdere di vista “il” problema: cioè che i post o i tweet, confusi nel mare magnum dei social, hanno un tasso di volatilità elevatissimo, e dopo un giorno nessuno li rammenta più.
A meno che non abbiano contenuti capaci di lasciare il segno, se non proprio di cambiare il mondo.