Sapete bene cosa penso delle classifiche Icca: sono – per ammissione degli stessi autori – uno specchio troppo limitato dell’industria Mice, non fotografano affatto la generalità del mercato. Un’indagine seria sull’appetibilità delle destinazioni dovrebbe addirittura prescinderne. Non per nulla il ranking di UIA (Unione delle associazioni Internazionali), che si riferisce al medesimo segmento dei congressi associativi, è completamente diverso, e ne parleremo a breve in un altro articolo.

Comunque, se prese per quello che sono, a qualche considerazione si prestano pure, specialmente da qualche anno, da quando cioè Icca ha preso l’abitudine di affiancare alla tradizionale chart per numero di meeting anche quella per numero di partecipanti, che certamente esprime qualcosa in più, essendo i fatturati la conseguenza non tanto dei meeting quanto del numero di persone che li frequentano.

Ricordiamo: le classifiche Icca misurano esclusivamente i congressi internazionali promossi dalle associazioni, che hanno più di 50 partecipanti e che si svolgono a cadenza regolare in destinazioni diverse, secondo il principio della rotazione fra almeno tre diversi paesi.

Secondo la nuova versione di questo parzialissimo screening, l’Italia è messa molto bene. Con poco più di 219mila partecipanti nel 2016 il nostro Paese figura infatti al quarto posto su scala mondiale, alle spalle di Stati Uniti (401mila), Germania (280mila) e Regno Unito (228mila). Fa senso vederci così posizionati, quando a colossi che fanno ben più notizia di noi occorre il binocolo per guardarci: Austria (11ma), Canada (12mo), Singapore (27mo), Emirati (38mi).

Ma dove il discorso si fa interessante è nella classifica per città. Dominato da Vienna con 119.887 partecipanti (a conferma, se pensiamo ai 147mila che valgono all’Austria l’11mo posto come nazione, che l’Austria dei congressi in realtà coincide con la sua capitale), questo secondo ranking vede nella top-20 addirittura due città italiane: Roma, ottava con oltre 68mila partecipanti, e Milano, 17ma con più di 48mila. A un’incollatura da Roma sono Parigi e Amsterdam, mentre Milano di fatto equivale a Praga (50mila).

Alcune considerazioni:

  • non ci sono altre città italiane in questa graduatoria, che si ferma alla posizione numero 40;
  • il dato incrociato col ranking per meeting conferma la primazia di Roma e Milano nel nostro incoming Mice, laddove, in questo primo chart, Roma chiude la top-20 con 96 eventi e Milano, 43ma, è l’unica altra città italiana nei primi 70 posti;
  • le altre città italiane, sparse nelle zone medio-basse (peraltro con illustri compagni come Abu Dhabi – 74ma – e Miami – 88ma) sono Firenze al 75mo posto, Venezia al 92mo, Torino al 117mo, Bologna (fresca di conquista della Expo orticola 2019) e Napoli al 125mo, Trieste al 186mo, Pisa al 203mo, Verona al 216mo, Genova al 239mo, Trento al 256mo, Catania al 301mo, Palermo al 324mo, Messina e Siena al 357mo, Bergamo e Salerno al 392mo (a pari merito con Miami Beach!!);
  • i dati si riferiscono al 2016, quando il CB di Roma ancora non c’era: per cui dobbiamo registrare in Italia il primato consolidato e dimostrato – grazie all’incrocio delle classifiche – di due città prive di convention bureau, il che potrebbe e dovrebbe aprire un dibattito sull’effettiva utilità di questi strumenti rispetto ad altri; vulgo: se una città è interessante – e Roma e Milano lo sono sino a prova contraria – sembrerebbe funzionare anche da sola;
  • alcuni anni fa un amico molto addentro a queste cose mi confidò che l’80% della domanda Mice dall’estero in Italia si concentra su Roma e Milano; alcuni colleghi di altre città non gli credono. Io sì.

 

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