Ciò che mi ha spinto fin da ragazzino a occuparmi di giornalismo è stata la curiosità. Quella voglia di sapere, di scoprire, di imparare qualcosa di più, qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso giorno dopo giorno. E di raccontarlo ai lettori.

Per me è uno stimolo fantastico, che a un certo punto però mi ha dato assuefazione. E quando, poi, mi sono ritrovato dietro a una scrivania a passare i pezzi di altri, tutti i giorni, per anni e anni, è finita che sono andato in crisi d’astinenza e non mi è per nulla dispiaciuta l’idea di tornare un po’ alle origini.

Negli ultimi tempi, quindi, ho dato nuovamente libero sfogo alla mia smania di novità e di apprendimento, riscoprendo il piacere di raccontare agli altri il mondo che ci circonda (che è sempre più digital, per esempio, e che necessita di competenze nuove, specifiche, che non si possono improvvisare e che in azienda bisogna assolutamente avere).

Ma se da un lato il meraviglioso mondo della consulenza è liberatorio e appagante, dall’altro – come tutte le cose belle della vita – ha un prezzo. Riordinando la contabilità per la dichiarazione dei redditi, infatti, mi sono reso conto che per la mia formazione professionale ho speso, soltanto nel 2016, quasi 8mila euro.

Ci sta, del resto ho seguito oltre 200 ore di corsi d’aggiornamento in aula, il 60 per cento delle quali all’estero (oltretutto in istituti riconosciuti a livello internazionale). Anzi, a guardar bene mi è andata pure di lusso: calcolatrice alla mano, infatti, 200 ore sono un mese lavorativo esatto (8 ore al giorno per 25 giorni), in cui fior fior di professionisti scelti da me hanno lavorato per me, su argomenti decisi esclusivamente da me. Mica pizza e fichi!

Poi, per la cronaca, mi sono sciroppato altre otto ore circa di formazione a distanza, cioè di corsi d’aggiornamento online, che però, per mia fortuna, sono stati totalmente gratuiti e gentilmente offerti dall’Ordine Nazionale dei Giornalisti.

Ecco, per la verità queste ultime otto ore, qualitativamente molto modeste, me le sarei volentieri risparmiate e di certo non avrei mai tirato fuori nemmeno un euro se fossero state a titolo oneroso. Ma, sapete com’è, la legge mi obbliga a totalizzare un minimo di 15 crediti formativi l’anno, pena non si sa bene cosa… quindi quelle 8 ore supplementari sono state inevitabili.

Ora voi vi starete domandando: «Ma come, ha appena scritto di aver seguito 200 ore di corsi residenziali, 120 delle quali certificate da enti riconosciuti in tutto il mondo, e poi ci racconta che non sono bastate a raggranellare 15 miseri crediti formativi! Possibile?».

Possibile, possibile! Tanto per dire, davanti a un documento che porta il timbro dell’Università di Cambridge, mi è stato risposto che la suddetta Università di Cambridge non è un ente formativo riconosciuto, perché – tapina lei – non ha mai avuto la lungimiranza di chiedere all’OdG italiano il riconoscimento dei programmi di studio che ella patrocina in tutto il mondo.

Dubito che a Cambridge si accorgeranno mai del gigantesco errore commesso, quindi tanto vale farsi un’amara risata e assecondare il regolamento. Meglio qualsiasi formazione che nessuna formazione, si potrebbe pensare.

Poi, però, rammento che Libero titola: «Fedez, il gesto “folle” davanti alla Ferragni: lo tira fuori in diretta televisiva», riferendosi proditoriamente all’anello di fidanzamento con cui il cantante ha chiesto la mano alla fashion blogger; che la Repubblica dà su Facebook del «povero beota delirante» a Grillo; che il Corriere della Sera scrive “Canale di Sicilia” per indicare le acque a ridosso della Libia, con consapevole pressapochismo, perché (cito testualmente Francesco Verderami in un suo intervento su La7): «…si vuole dare un’interpretazione della zona» (eh sì, perché dopo la “temperatura percepita”, era giusto inaugurare anche la “geografia percepita”) e che praticamente tutta la stampa italiana – inclusa la Rai – ha dato credito all’incredibile storia dello Zuckerberg italiano, Matteo Achilli (qui trovate la magistrale ricostruzione <http://www.ninjamarketing.it/2017/04/10/matteo-achilli-egomnia-film-thestartup/> di Fabio Casciabanca per gli amici di NinjaMarketing).

Sensazionalismo di bassa lega, engagement basato sul flaming, pressapochismo un tanto al chilo… e l’OdG su tutto questo tace, con l’aplomb di chi ha studiato a Cambridge.

Che cosa posso dire? Il mio amato giornalismo probabilmente è morto. E credo che nemmeno i lettori si sentano tanto bene. Io, per esempio, comincio ad avere una forte nausea. E voi? Comment is free.

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