La scorsa settimana abbiamo parlato di quali reazioni elettrochimiche vengono attivate dal nostro cervello mentre interagiamo con i social media e come possiamo avvantaggiarci di questi meccanismi attraverso campagne di comunicazione molto orientate al brand engagement.
In quell’articolo abbiamo anche accennato al termine “vanity metrics”, definendolo come un elemento negativo che può indurci a scambiare un dato quantitativo per uno qualitativo, confondendoci fino a risultare potenzialmente pericoloso.

Oggi vogliamo tornare sull’argomento, per chiarire meglio di che cosa si tratta.

«Le vanity metrics sono quelle metriche che ti fanno sentire bene, ma non ti danno indicazioni chiare su cosa fare. Gli unici parametri sulla cui raccolta dovrebbero investire energie gli imprenditori, sono quelli che aiutano a prendere decisioni». (Eric Ries)

Visite, visitatori, reach, fan, followers, like, condivisioni, retweet non contano niente

Il primo approccio con la comunicazione online deve necessariamente misurare quantitativamente i risultati che si raggiungono all’inizio.

Che si tratti di un sito corporate, di un blog, di una pagina Facebook, dell’attività LinkedIn o dei primi cinguettii che twittiamo, è naturale ed è anche giusto misurare la quantità di pubblico che siamo riusciti a raggiungere.

Tuttavia, mano a mano che il nostro business matura dovremmo concentrarci su parametri qualitativi, e cioè su ciò che funziona bene e su ciò che invece rischia addirittura di danneggiarci in termini di risultato economico (se stiamo puntando a vendere i nostri servizi o prodotti) oppure in termini di brand awareness.

In questa seconda fase, cioè, continuare a considerare il traffico del nostro sito, il numero di follower o di like su Facebook, le condivisioni, i retweet o perfino il posizionamento in Serp per alcune keyword esclusivamente di “immagine” (le cosiddette “vanity keyword”), giova sicuramente al nostro ego – come ha ben spiegato il guru delle startup, nonché autore del libro “The Lean Startup”, Eric Ries –, ma rischia di farci perdere di vista il vero obiettivo finale della nostra presenza online: che sostanzialmente è fare quattrini.

Intendiamoci, vedere i fan che crescono settimana dopo settimana non è un problema in sé. Il problema è se ci fermiamo a quella “vanity metric” senza chiederci che beneficio stiamo ottenendo dal costante incremento della nostra fanbase. Il problema è non domandarsi se stiamo davvero trasformando questi fan in clienti. Il problema è focalizzarsi sulla crescita dei fan investendo, magari, cifre superiori al vantaggio economico che questa crescita potrà concretamente portarci.

E accorgersene troppo tardi è molto pericoloso (anche perché si tratta di un numero facilmente drogabile: è sufficiente una buona campagna con Facebook Ads per far esplodere incredibilmente la nostra fanbase, ma senza ottenere alcun concreto ritorno sull’investimento in termini di lead generation o di vendite).

Insomma, le vanity metrics sono quelle metriche che ci fanno sentire popolari, soprattutto più popolari dei nostri competitor, ma non ci stanno dando un reale vantaggio in termini di business. In definitiva, che cosa ci interessa di più: avere più like della pagina Facebook del nostro diretto concorrente, oppure avere una maggiore quota di mercato e un margine utile più elevato di chiunque altro?

I cinque Kpi che (forse) non stai considerando, a tuo rischio e pericolo

La prima cosa da comprendere, quindi, per non prendere decisioni sbagliate è che esistono due tipi di metriche: le metriche di vanità e le metriche veramente importanti. Queste ultime (dette anche “actionable metrics”) sono metriche che collegano specifici risultati misurabili a specifiche azioni da intraprendere.
Per esempio, il tuo sito ha ricevuto migliaia e migliaia di visite nell’ultimo mese.
Bravo, sei un grande! Cameriere, Champagne!
Ma qual è il tuo bounce rate? Quante pagine sono state viste da ciascun utente? Quanto tempo è stato speso su ogni pagina? Quanti visitatori sono poi ritornati? Quante volte è andato a segno il tuo lead magnet? Quanti utenti si sono iscritti alla tua newsletter? E quanti sono arrivati fino in fondo al processo d’acquisto dei tuoi prodotti nel caso tu sia un e-commerce? O ancora: quanti sono tornati a comprare più di una volta?
Nel vastissimo oceano delle metriche, è importante capire quali sono gli indicatori chiave di prestazione (Kpi, key performance indicators) che dovranno guidare le nostre decisioni all’azione.
Ogni business, naturalmente, dovrà basarsi su actionable metrics specifiche, che cambiano da mercato a mercato. Tuttavia esistono cinque tipologie comuni in tutte le circostanze (codificate da Nichole Kelly, ormai più di un lustro fa, nel libro “How to Measure Social Media”) che ci possono aiutare a individuare i Kpi più corretti:

  1. exposure metrics
  2. influence metrics
  3. engagement metrics
  4. action/conversion metrics
  5. customer retention metrics

1. Exposure metrics

Sono quelle metriche che mostrano il pubblico esposto al nostro brand (visitatore, fan, follower, iscritto alla nostra newsletter) e quante volte è stato esposto al nostro messaggio (visualizzazioni, visite).
Se ci si limita alla loro analisi quantitativa sono anch’esse vanity metrics. Ma se le consideriamo in relazione a una serie di altri dati, allora concorrono a fotografare meglio l’andamento del nostro business e a prendere quindi decisioni rilevanti.

2. Influence metrics

Le Influence metrics misurano, appunto, l’influenza del nostro brand online, cioè il tipo di impatto che riesce ad avere in rete in termini di “share of voice”, “sentiment”, “top influencers mentions”. Sono fondamentali per tastare il polso della nostra brand awareness.

3. Engagement metrics

Sono le metriche che analizzano il grado di coinvolgimento del pubblico, misurando quante reazioni e interazioni sono state generate in termini di quantità di accessi, durata della sessione, profondità della pagina, commenti, chat, condivisioni, feedback dei lettori e così via.
Più riusciamo a coinvolgere l’utente nelle comunicazioni del nostro brand, più sarà probabile riuscire a trasformarlo in un cliente vero.

4. Action/conversion metrics

Questo genere di metriche è sicuramente il più importante di tutte, perché misura i risultati in termini di conversioni effettive: quanti download sono stati fatti di un nostro contenuto, quante sottoscrizioni abbiamo avuto per la nostra newsletter, quanti contatti qualificati abbiamo tracciato e, soprattutto, quante vendite effettive abbiamo concluso.

5. Customer retention metrics

Ed eccoci infine alla fidelizzazione, a quelle metriche cioè che ci consentono di monitorare quante volte “l’assassino torna su luogo del delitto”, trasformandosi così da cliente occasionale a preziosissimo repeater.
Ed è questa, alla fine della fiera, l’unica cosa che ci deve interessare davvero.

(Photo courtesy of Nichole Kelly via Flickr)

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