L’Osservatorio IULM sui Social Media (720 aziende mappate) ci dice che tra il 2013 e il 2015 la percentuale di imprese che utilizzano social media per le attività di comunicazione e marketing è passata dal 64% al 73%, grazie soprattutto alla crescita tra le PMI. Tuttavia la ricerca svela anche un dato fondamentale: la dimensione relazionale rimane indietro e i canali social sono sotto-utilizzati nella cura del rapporto con i clienti e gli utenti. Ad avallare questo aspetto lo Sprout Social Index, secondo cui 7 su 8 messaggi postati sui social media nelle 72 ore successive all’inserimento non trovano risposta da parte delle aziende. Qual è il gap, cosa manca per essere digitalmente performanti? La mia esperienza professionale nella triplice veste di planner, trainer e di consulente di comunicazione e marketing mi porta a rispondere che nella maggioranza delle aziende manca la volontà di attuare processi strategici in grado di disegnare il sentiero entro il quale agire. Non solo la strategia viene scambiata per teoria dei massimi sistemi, ma il concetto di “processo” come disegno di un percorso metodologico è misconosciuto.
Spesso le aziende, nel promuovere un evento sui social network, non identificano il tipo di cliente a cui si rivolgono, in quanto manca un processo di mappatura e di identificazione dell’utente (età, genere, interessi, professione, etnia, carattere ecc), con il rischio, forse inconsapevole, di sviluppare una comunicazione per lo più auto-referenziale, centrata sul brand, sui prodotti o sui servizi offerti, ma non sull’ascolto! A che si aggiunge che le aziende, perlopiù, si concentrano sulla comunicazione esterna, considerata prioritaria, anche senza una vera e propria strategia, trascurando totalmente quella interna rivolta alle proprie risorse, ai dipendenti, col rischio di aprire falle irreparabili sia all’interno sia all’esterno.
Come si fa a rivolgersi a persone che non si conoscono a fondo e ottenere feedback concreti?
I social media hanno cambiato tutto spingendoci a sviluppare il sesto senso digitale! In tutte le forme di comunicazione, eventi inclusi, siamo diventati aggregatori di conoscenze e contenuti culturali, chiamati a intessere relazioni digitali interconnesse, senza più confini. Sono le persone oggi che rendono i brand, i valori, i prodotti e i servizi delle aziende realmente innovativi attraverso le piattaforme digitali: dove si incontrano, discutono, accettano o meno proposte e idee, si lamentano, propongono iniziative, dando vita a nuovi contenuti e progetti. Per questo è importante che le aziende aggiungano alla misurazione del ROI quella del ROSR (Return On Social Relationship). La rete sociale consente un’interazione continua tra individui, attori reticolari che generano una cultura della condivisione, un’energia emotiva, che a sua volta sviluppa nuove identità, esperienze di cambiamento.
In quest’ultimo anno ho osservato dall’interno e dall’esterno delle aziende i comportamenti, le attitudini delle persone in modalità online e offline, tracciando oltre 30 profili capaci di mettere in evidenza le potenzialità, le capacità creative, gli interessi dei “partecipanti” – che possono essere i nostri clienti, dipendenti, collaboratori, colleghi, sponsor, partner – a quella che viene oggi definita crowdculture.
Ho cercato di tracciare e differenziare conversazioni, dialoghi, atteggiamenti attraverso ruoli che come abiti vengono indossati a seconda dell’esigenza del momento, degli obiettivi di comunicazione e che possono cambiare in funzione del processo che si vuole attivare per ottenere un determinato risultato. Facciamo qualche esempio pratico. L’azienda vuole coinvolgere, motivare, intrattenere i partecipanti prima, durante e dopo un evento allo scopo di raccogliere dati utili a un assessment interno, a un riposizionamento del personale, oppure per conoscere meglio le risorse, per fidelizzarle, incentivarle a migliorare le vendite, a lavorare meglio in team, per scoprire talenti, nuove professionalità ecc. Diciamo che gli obiettivi possono essere diversi e vanno stabiliti nella fase strategica. Prima dell’evento cerchiamo di comprendere attraverso i principali social come Facebook, Twitter, LinkedIn, Instagram, Google + come si muovono le persone.
In questo caso, in quanto trainer, propongo di attribuire dei ruoli iniziali a ciascun partecipante oppure porre delle domande stabilendo un rapporto interattivo a distanza prima dell’inizio dell’evento, facendo decidere a ciascuno quale abito si sente di indossare sul momento, se si sente più observer, influencer, explainer, e così via, fornendo una minima spiegazione dei ruoli. Una volta tracciata la mappa nel corso dell’evento, attraverso un percorso formativo e di gamification si creano situazioni per andare a misurare le attitudini, gli atteggiamenti, le capacità delle persone rispetto al ruolo scelto, cercando di comprendere fin dove possono arrivare, tracciando una seconda mappa che indica a quale ruolo o abito – dalla fine dell’evento a un lasso di tempo prestabilito a medio-lungo termine – le persone possono tendere e come indossarlo. Mettiamo che io mi senta un explainer (avete presente coloro che sui social sono disponibili a spiegarti il significato di qualcosa rispondendo alle tue domande…) e che voglia ambire a diventare un transformer (in grado di “lavorare” materiale digitale e trasformarlo in azioni di leadership).
Supponiamo anche che io abbia un atteggiamento da observer, vale a dire resto più nelle retrovie, non mi espongo abbastanza per carattere, magari sono anche un listener, ascolto le conversazioni degli altri ma divento un drawer nel momento in cui attraverso la mia creatività traduco le conversazioni in immagini, disegni, vignette, che possono essere addirittura più impattanti della parola, che possono essere utilizzate in un evento, una riunione in alternativa a un power point! Personalmente conosco ancora pochi drawer, ma ritengo che possano avere un ruolo molto importante in un team.
Attraverso un processo di crescita possono persino diventare content catalyst, vale a dire un catalizzatore di contenuti posto sulla intranet aziendale, su WhatsApp, su Facebook ecc. I processi che si sviluppano attraverso i ruoli e gli approcci digitali sono dei potentissimi volani per motivare le persone a essere consapevoli delle proprie risorse interne, delle competenze, degli interessi che si evolvono in base al contesto. In sintesi: sono le persone che producono notifiche in grado di generare business, non le aziende.