La crisi tra Israele, Stati Uniti e Iran sta già avendo un impatto concreto: i cieli sopra il Medio Oriente si stanno ulteriormente svuotando, con velocità anche maggiore rispetto al conflitto Israele Palestina. Dopo l’attacco sferrato dagli Usa contro tre siti nucleari iraniani nella notte tra il 21 e il 22 giugno, l’intero comparto del trasporto aereo è entrato in una fase di massima allerta, con rotte interrotte, voli cancellati e un riassetto d’emergenza delle principali tratte intercontinentali.
La Federal Aviation Administration (FAA) americana e l’Agenzia Europea per la Sicurezza Aerea (EASA) hanno subito aggiornato le loro raccomandazioni, classificando come “zona ad alto rischio” lo spazio aereo di Iran, Iraq e parte di Siria e Israele. Si tratta di una delle aree più trafficate al mondo per i voli fra Europa e Asia: i corridoi aerei coinvolti rappresentano un asse strategico per le compagnie aeree internazionali, tanto sul piano commerciale quanto su quello operativo.
Compagnie aeree in ritirata: le prime decisioni
La risposta del settore non si è fatta attendere. Lufthansa, KLM, British Airways, Air France, Emirates, Qatar Airways, Singapore Airlines, United Airlines e Delta hanno già sospeso o pesantemente ridiretto i voli da e verso l’intera regione. Alcuni vettori hanno annunciato la cancellazione temporanea di tutti i collegamenti con Teheran, Dubai, Doha e altri hub strategici. Altri hanno scelto di allungare i tragitti, bypassando l’area critica passando per rotte alternative, come quelle che attraversano il Caucaso, il Mar Caspio o il Mar Rosso.
Le compagnie del Golfo, da sempre centrali nei flussi intercontinentali, si trovano ora a gestire una crisi operativa. Contando su una fitta rete di connessioni tra Europa, Asia, Africa e Oceania, non è escluso che dovranno adottare misure straordinarie per assistere i passeggeri bloccati o in transito e potrebbero valutare la revisione dei piani estivi.
Un effetto domino su scala globale
Il blocco dei cieli mediorientali ha conseguenze ben oltre l’area del conflitto, dove comunque tutte le destinazioni saranno pesantemente coinvolte, a prescindere da quanto stiano investendo nel turismo.
I voli diretti dall’Europa all’Asia, in particolare quelli per India, Cina, Tailandia e Sud-est asiatico, stanno già avendo ritardi significativi e aumenti dei costi. Le tratte allungate comportano un maggiore consumo di carburante e una riduzione della capacità operativa: si stima che i tempi di volo possano aumentare da 30 a 90 minuti per molte rotte intercontinentali.
Anche il cargo ne risente. Le principali rotte di trasporto merci aereo fra Europa e Asia passano attraverso i cieli ora interdetti. Ritardi nelle consegne, incremento dei costi logistici e congestione negli hub alternativi (come Istanbul, Il Cairo e Addis Abeba) sono già in corso, con ripercussioni potenzialmente rilevanti sulle filiere globali.
Turismo sotto pressione: prudenza e riprogrammazioni
Il turismo internazionale si trova a dover affrontare una nuova fase di instabilità. L’area mediorientale, finora considerata un punto di connessione per molti viaggiatori occidentali, rischia di diventare una zona da evitare. Le crociere che includono scali in Oman, Emirati e Bahrein già stanno ricevendo disdette e richieste di rimborsi, mentre i tour operator europei e americani sanno di dover avere pronto un piano B per gli itinerari delle prossime settimane. Nel breve termine, le compagnie aeree temono un calo della domanda, soprattutto da parte dei viaggiatori leisure. I passeggeri più attenti alla sicurezza, come le famiglie e i senior, potrebbero rinunciare a viaggi a lungo raggio o modificare le prenotazioni.
Gli americani non rinunciano a viaggiare, ma guardano altrove
Negli Stati Uniti, la propensione al viaggio rimane alta, ma con segnali di cautela. Secondo recenti rilevazioni, il 75% degli americani prevede di viaggiare nel corso dell’anno, ma con una netta preferenza per mete nazionali o considerate stabili. Le destinazioni più richieste diventano quelle dell’America del Nord, dei Caraibi e dell’Europa occidentale, mentre calano le ricerche per Medio Oriente, India e Asia Centrale.
Nel frattempo, il timore di un rialzo dei prezzi dei voli, spinto dall’aumento del prezzo del petrolio, potrebbero influenzare le scelte dei viaggiatori. Alcuni operatori prevedono che, se l’escalation dovesse protrarsi per settimane, i voli intercontinentali potrebbero diventare sensibilmente più cari già dalla seconda metà di luglio.
Uno scenario in evoluzione
La situazione resta estremamente fluida. Le autorità di volo, i ministeri degli Esteri e le compagnie aeree monitorano ora per ora l’evolversi della crisi. In caso di nuove azioni militari o di rappresaglie coordinate contro asset americani in Medio Oriente, la mappa globale delle rotte aeree potrebbe subire cambiamenti strutturali, riportando il trasporto internazionale a uno scenario di frammentazione simile a quello vissuto durante le prime fasi della pandemia.
Per il settore travel, si apre dunque una nuova sfida: gestire l’incertezza, garantire la sicurezza, preservare la fiducia dei passeggeri, con tre certezze: non è la prima crisi, non sarà l’ultima e le altre le abbiamo superate tutte.