L’intelligenza artificiale non solo entra nelle nostre vite ma inizia a riscrivere le regole del lavoro e del valore economico. L’idea che sia proprio l’IA a pagarci la pensione potrebbe sembrare provocatoria eppure, nelle recenti dichiarazioni di Valeria Vittimberga, direttrice generale dell’INPS, questa visione ha assunto contorni sorprendenti di plausibilità. Quanto è emerso nel corso della trasmissione Codice, la vita è digitale, in onda su Rai1 non è solo uno slogan da talk show, ma l’espressione concreta di una riflessione sistemica su come la tecnologia possa diventare alleata del welfare in un’Italia che invecchia e in cui i contributi dei lavoratori non bastano più.
Per chi opera nel settore turistico-alberghiero, da sempre soggetto a stagionalità, discontinuità contributive e turni massacranti spesso mal retribuiti, questa prospettiva è tanto affascinante quanto urgente. I lavoratori dell’ospitalità sono il cuore pulsante dell’economia esperienziale italiana, ma raramente riescono a costruire una pensione solida tra contratti a chiamata, part-time involontari e contributi versati a singhiozzo, la vecchiaia è più spesso sinonimo di incertezza che di riposo.
La proposta della Vittimberga rovescia lo schema tradizionale: non più solo anni di lavoro e versamenti previdenziali come unico criterio per maturare la pensione, ma anche il valore digitale, relazionale e informativo che ciascun lavoratore produce, anche dopo il pensionamento, una sorta di “gemello digitale” che continua a generare valore. Nel turismo, dove il sapere è spesso pratico, orale, fatto di gesti e relazioni, questo concetto potrebbe diventare rivoluzionario. Pensiamo ad un maître che ha trascorso 40 anni accogliendo Ospiti con classe, riconoscendo a colpo d’occhio clienti affezionati, risolvendo problemi in tempo reale con diplomazia e savoir-faire oppure a una governante d’albergo che conosce ogni stanza come le proprie tasche, sa dove intervenire prima che accada il problema, e forma nuove leve con un colpo d’occhio o ancor di più uno Chef che ha saputo creare nuove ricette attraverso tentativi di sperimentazione. Queste competenze, oggi, spariscono con la persona che va in pensione ma cosa accadrebbe se queste esperienze potessero essere “digitalizzate”, formalizzate, trasformate in procedure, contenuti formativi, algoritmi predittivi?
Il concetto di asset digitale personale è esattamente questo: un patrimonio immateriale che continua a generare utilità anche quando il lavoratore è uscito dal mercato e nell’hotellerie dove il passaggio generazionale delle competenze è spesso caotico ciò potrebbe essere la chiave per valorizzare il lavoro svolto, trasformandolo in rendita anche dopo la pensione.
Vittimberga suggerisce che questo valore dovrebbe poter essere tassato, riconosciuto e capitalizzato ed il gemello digitale diventa quindi una sorta di “lavoratore invisibile” che paga contributi ed il lavoratore in pensione dunque, continua a beneficiare del valore prodotto dalla propria versione digitale. In un settore come quello alberghiero, dove il turn over è altissimo, questa innovazione potrebbe generare continuità e memoria aziendale, abbattendo costi di formazione e migliorando la qualità del servizio.
E non è tutto!
Con l’adozione di sistemi di IA personalizzati, un receptionist che va in pensione potrebbe lasciare il proprio avatar digitale a disposizione del front office, capace di gestire richieste, aggiornare booking engine, rispondere in più lingue e trasferire dati e feedback in tempo reale. Un concierge virtuale che incarna le esperienze di una carriera intera questo non solo aggiunge valore all’impresa, ma crea una nuova forma di previdenza: quella fondata sulla capacità del sapere di restare attivo anche senza il corpo che lo produce.
Tutto questo, naturalmente, richiede una rivoluzione normativa di un sistema pensionistico che oggi si basa unicamente su versamenti e retribuzioni. Domani, forse, potremmo avere un sistema misto, in cui le IA personali sono soggette a contribuzione, esattamente come un lavoratore autonomo e per il settore turistico-alberghiero crea una chance straordinaria per dare dignità economica anche a professioni frammentate, stagionali, a volte invisibili alle statistiche ufficiali, ma è anche una sfida culturale. Le competenze informali devono essere codificate, il sapere pratico deve essere digitalizzato, e le imprese devono investire nella formazione digitale dei propri collaboratori solo così l’IA non sarà una minaccia, ma un’estensione virtuosa del lavoro umano.
Se ben strutturato, questo meccanismo può finalmente offrire al settore turistico-alberghiero italiano un sistema previdenziale degno del valore che i suoi lavoratori generano non più solo pensioni da fame per chi ha lavorato a chiamata nei mesi estivi ma un riconoscimento concreto del sapere maturato sul campo, anche oltre la soglia dell’età pensionabile.
In conclusione, il futuro del welfare non può più essere pensato con strumenti del passato se l’intelligenza artificiale può diventare parte attiva dell’economia allora dovrebbe anche partecipare al finanziamento della previdenza e in questo nuovo scenario, i lavoratori del turismo, spesso ultimi nella scala gerarchica del riconoscimento economico, potrebbero finalmente vedere valorizzata la loro esperienza.
Non più solo lavoratori stagionali, ma produttori di capitale immateriale che continua a generare valore e a pagare, finalmente, una pensione più giusta.