Professionisti senior nel turismo: il grande errore strategico del turismo italiano

Nel turismo italiano esiste una generazione sospesa. Una fascia di professionisti che sono vicino ai sessant’anni ma non ha ancora diritto alla pensione, che possiede competenze profonde ma viene spesso percepita come ingombrante e che ha attraversato decenni di cambiamenti ma si sente dire, più o meno esplicitamente, di essere ormai fuori tempo massimo. È una generazione che vive una contraddizione feroce in quanto ha ancora molto da dare ma fatica a trovare spazi strutturati per farlo. Non si tratta di casi isolati, né di storie personali sfortunate è un fenomeno sistemico che riguarda il modo in cui il turismo italiano concepisce il lavoro, la leadership, il valore dell’esperienza in un settore che continua a dichiarare di avere bisogno di competenze ma che nei fatti scarta proprio quelle più mature e preferisce inseguire la retorica della giovinezza piuttosto che investire in governance.

Il paradosso è evidente, da una parte l’età pensionabile si allontana, le carriere diventano discontinue, i contributi sempre più frammentati mentre dall’altra, il mercato del lavoro considera i professionisti over 50 come figure “costose”, poco flessibili, difficili da inserire e il risultato è una terra di nessuno in cui si accumulano competenze inutilizzate, frustrazione professionale e, nel medio periodo, un problema previdenziale che rischia di esplodere. Questo tema non è solo sociale ma è economico, industriale e politico nel senso più alto del termine e riguarda il modello di sviluppo del turismo italiano e la sua capacità di diventare finalmente un’industria matura.

Chi ha lavorato per decenni nel settore alberghiero e turistico sa bene che il vero punto debole delle aziende non è la mancanza di idee ma la mancanza di metodo dove molte strutture funzionano per inerzia, dove si aprono servizi senza valutarne la sostenibilità, mantenendoli anche quando producono solo perdite. In questo contesto, il professionista senior non è un retaggio del passato ma una figura chiave di riequilibrio. È colui che ha visto cicli economici completi ed ha attraversato crisi vere (ad imperitura memoria vorrei ricordare: la crisi energetica degli anni ’70/inizio ’80, la guerra del Golfo dell’inizio degli anni ’90, le crisi economiche globali del 2008-2009, gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 e del terrorismo jihadista e più recentemente la devastante pandemia di COVID-19 )ed ha imparato sulla propria pelle cosa significa un’azienda dove manca liquidità e gestire esuberi, ristrutturare reparti, cambiare modello di business.

È una competenza che non si improvvisa e che non si acquisisce con un corso accelerato eppure, il settore turistico continua a rimuovere questa evidenza e parla di innovazione e di nuove professionalità come se l’esperienza fosse un freno e non un acceleratore, dimenticando che l’innovazione reale non nasce dall’assenza di memoria ma dalla capacità di scegliere cosa cambiare e cosa mantenere e questa capacità, molto spesso, appartiene proprio a chi ha vissuto più stagioni professionali. Dopo i miei oltre quarant’anni di lavoro nel settore alberghiero e turistico, in ruoli operativi, direzionali e consulenziali, una delle costanti a cui ho assistito emergere con maggiore chiarezza è la fragilità delle governance aziendali.

Non mancano opportunità oppure ulteriori mercati su cui puntare, mancano figure in grado di tenere insieme una visione strategica, gestione economica e organizzazione del lavoro ed è proprio da questa consapevolezza che nasce un approccio consulenziale orientato non alla sostituzione delle persone ma al rafforzamento dei sistemi, dove il professionista senior è una risorsa chiave non solo per dirigere ma per accompagnare l’azienda a risultati più apprezzabili, proprio come un “un falso nueve” per dirla in termini calcistici, ovverosia un attaccante che arretra la sua posizione e crea spazi per gli inserimenti dei compagni, fungendo da regista offensivo anziché da tradizionale centravanti “boa” finalizzatore.

La professione consulenziale rappresenta comunque una valida opportunità per coloro che accettano di uscire dai modelli rigidi del passato in quanto la direzione alberghiera oggi non deve necessariamente coincidere con una presenza quotidiana e totalizzante. Vi è un buon numero di strutture “lungimiranti” oggi, che necessitano di una direzione evoluta, capace di governare i numeri, impostare i processi, formare i responsabili di reparto e dialogare con la proprietà. In questi casi, il lavoro a partita IVA non è una forma di precarietà ma uno strumento di flessibilità intelligente. Un incarico continuativo di direzione strategica, advisory o temporary management può essere sostenibile per l’azienda e allo stesso tempo, garantire al professionista una base reddituale e contributiva solida.

Un compenso annuo compreso tra i 60.000 e gli 80.000 euro, per esempio, rappresenta per molte strutture un investimento inferiore rispetto al costo complessivo di un direttore assunto come dipendente con contratto dirigenziale e per il professionista significa poter versare contributi previdenziali rilevanti proprio negli anni più critici della carriera. Con un reddito di 70.000 euro, il versamento contributivo può superare i 20.000 euro annui, incidendo in modo concreto sulla pensione futura. Ancora più efficaci sono i modelli misti, basati su una parte fissa e una variabile legata ai risultati con un compenso fisso mensile accompagnato da una percentuale sul miglioramento del margine operativo o sulla riduzione dei costi e che crea un perfetto allineamento virtuoso tra azienda e professionista. Il senior non viene pagato per la presenza dunque, ma per il valore generato e l’azienda non sostiene un costo rigido, ma un investimento legato ai risultati.

Questo tipo di approccio è centrale anche nel percorso consulenziale che mette al centro la sostenibilità economica prima ancora dell’espansione. Troppe aziende turistiche crescono senza controllo, accumulando fatturato ma erodendo margini e un professionista senior competente sa che la vera crescita è quella che regge nel tempo, che produce cassa, che consente di investire senza indebitarsi eccessivamente. C’è poi un altro ruolo fondamentale che i senior potrebbero svolgere: quello di mentori operativi. La formazione nel turismo è spesso teorica, scollegata dalla realtà quotidiana delle aziende e affiancare giovani manager e quadri intermedi, trasmettendo metodo, cultura del lavoro e capacità decisionale è un’attività ad altissimo valore.

Lo stesso vale per le destinazioni turistiche, le DMO, i consorzi e le reti di imprese, contesti complessi, dove servono capacità di coordinamento, visione strategica e dialogo con le istituzioni e anche qui, l’esperienza conta più dell’età anagrafica. Ma il vero ostacolo resta culturale! Nel turismo italiano persiste l’idea che l’esperienza costi troppo e raramente si calcola il costo dell’inesperienza, degli errori gestionali, delle decisioni sbagliate che compromettono anni di lavoro. Un direttore giovane può costare anche meno in busta paga ma potrebbe costare molto di più in termini di inefficienza, conflitti interni e perdita di redditività.

Anche i professionisti senior devono fare la loro parte, non proponendosi come custodi del passato ma competenti nel linguaggio dei numeri, dei risultati, della sostenibilità e degli investimenti aziendali oculati. Devono accettare di essere valutati sugli obiettivi, di lavorare per progetti, di misurarsi con contesti diversi e dimostrare che l’esperienza non è rigidità ma capacità di adattamento. Il mio articolo nasce da una convinzione maturata sul campo, in decenni di lavoro tra alberghi, tour operator, formazione, territori, aziende e persone: il turismo italiano non ha bisogno di rottamare competenze ma di rimetterle in circolo e ha dunque bisogno, di una classe dirigente diffusa, capace di governare la complessità e non di subirla. I professionisti senior non sono un problema da risolvere ma una scelta strategica per il futuro del settore.

Forse è arrivato il momento di dirlo con chiarezza: nel turismo non serve essere giovani o anziani, serve essere competenti, tutto il resto è ideologia e l’ideologia, nel turismo, è un lusso che non possiamo più permetterci.

Autore

  • Mino Reganato si occupa di gestione del management e del marketing di strutture ricettive e tour operator da lungo periodo, vantando numerose esperienze in diverse località nazionali ed internazionali.  Amministratore di società operanti nel settore turistico-alberghiero ed in campo associativo nella sua lunga carriera ha partecipato a numerosi progetti per il destination management territoriale, disciplina di cui è anche formatore oltre ad aver ricevuto diversi premi nel settore turistico-alberghiero. Scrive articoli di approfondimento relativi al settore turistico e alberghiero per il suo blog Hotel & Tourism Management Group e occasionalmente per alcune testate giornalistiche online.

    Mino Reganato infine è a fianco delle strutture che hanno bisogno di un piano d'azione urgente (bassa occupazione, calo fatturato, costi fuori controllo).

    START-UP & RELAUNCH 180

    "Il mio obiettivo? Portare l'hotel a standard operativi solidi, posizionamento chiaro, prezzi sostenibili e ricavi in crescita in 180 giorni".

    SCOPRI DI PIU' CLICCANDO QUI

    Visualizza tutti gli articoli