Gaza “riviera del Medio Oriente”: il piano Usa e perché resta un’illusione

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Il Washington Post ha rivelato l’esistenza di un progetto post-bellico che prevede di trasformare Gaza in una “Riviera del Medio Oriente”, sotto amministrazione fiduciaria statunitense per almeno dieci anni. Secondo il piano, un pdf di 38 pagine battezzato Gaza Reconstitution, Economic Acceleration and Transformation Trust (Great Trust), circa il 25% dei due milioni di abitanti della Striscia dovrebbero lasciare volontariamente le proprie case in cambio di un incentivo economico. A ogni palestinese verrebbero offerti 5.000 dollari, quattro anni di sussidi per l’affitto e un anno di forniture alimentari, mentre ai proprietari sarebbe riconosciuto un “token digitale” con diritti futuri sulle nuove “smart city” che dovrebbero sorgere sulle macerie. Prevede a livello organizzativo una fase iniziale con contractors privati e IDF, poi creazione graduale di una forza di sicurezza locale addestrata, fino al passaggio a un’entità palestinese autonoma. Secondo il documento si andrebbe verso la creazione di una custodia multilaterale con leadership Usa, inizialmente come accordo bilaterale con Israele e poi come trusteeship internazionale con l’idea di traghettare Gaza verso una forma di autogoverno palestinese “deradicalizzato”.

L’obiettivo dichiarato sarebbe quello di costruire resort di lusso, centri manifatturieri e hub tecnologici, con ritorni finanziari quadruplicati su un investimento iniziale da 100 miliardi di dollari pubblici e 75 miliardi privati. Gli obiettivi entro dieci anni sarebbero 1 milione di posti di lavoro (diretti e indiretti), 13.000 nuovi posti letto ospedalieri, il 100% della popolazione in abitazioni permanenti, oltre l’85% dei bambini a scuola e il ritorno di una parte delle persone rilocate precedentemente.

Dietro le immagini patinate della “Gaza Riviera”, già diffuse in passato in video promozionali da esponenti israeliani, emergono però nodi irrisolvibili. Sul piano legale, la IV Convenzione di Ginevra vieta trasferimenti forzati o incentivati in condizioni di coercizione, e definire “volontarie” le partenze in un contesto simile di violare il diritto internazionale. Anche l’ipotesi di un’amministrazione fiduciaria Usa, ipotizzata sui media, non ha forti basi giuridiche: il sistema dei trust territoriali è di competenza ONU e non può essere imposto unilateralmente. A questo si aggiunge il rifiuto degli Stati vicini. Egitto e Giordania hanno ripetutamente escluso l’accoglienza di popolazioni palestinesi. Senza Paesi disponibili a ospitare chi lascia Gaza, l’intero presupposto del progetto viene meno.

Gli ostacoli pratici sono altrettanto rilevanti. Secondo le prime valutazioni congiunte di Banca Mondiale, Nazioni Unite ed Unione Europea, la distruzione infrastrutturale già ammonta a decine di miliardi di dollari. Prima di pensare a resort e tecnopoli, occorrerebbero anni di sminamento, bonifiche e ricostruzione dei servizi essenziali. Inoltre, la Striscia resta classificata come “zona non assicurabile” per viaggi e investimenti: senza copertura assicurativa, il turismo internazionale è impossibile. Senza considerare l’appetibilità turistica di una zona che ha avuto un passato controverso e che rischia un forte boicottaggio mediatico.

Infine, i conti non tornano. Promettere ritorni quadruplicati in dieci anni appare poco realistico persino in contesti stabili, come dimostra il ridimensionamento del progetto saudita Neom. Nel caso di Gaza, teatro di guerra e tensioni geopolitiche, lo scenario è ancora più fragile. Oggi la governance è impossibile senza il consenso palestinese e il piano, comunque si concluda la guerra in atto, prevede uno sbocco politico poco credibile. Esclude infatti la futura esistenza di uno Stato palestinese e senza legittimità locale nessuna “smart city” può funzionare. Fino a quando restano attivi combattimenti, carestia e restrizioni all’accesso degli aiuti, qualsiasi cronoprogramma di ricostruzione o marketing turistico è privo di basi. La priorità resta cessate il fuoco, accesso umanitario, sminamento, ricostruzione di servizi essenziali e tutela dei diritti di proprietà.

Il “piano Gaza Riviera” resta dunque una narrazione futuristica che ignora geografia, diritto ed economia. più che un progetto attuabile. Prima di qualsiasi ipotesi turistica, o anche di semplice ricostruzione, serve un accordo politico condiviso. Il turismo nasce da stabilità, accessibilità, investimenti nel tempo e consenso sociale. Qui mancano tutti e quattro i pilastri e senza queste condizioni, resort e smart city restano soltanto sulla carta.

Autore

  • Domenico Palladino è editore, consulente marketing e formatore nei settori del turismo e degli eventi. Dal 2019 è direttore editoriale di qualitytravel.it, web magazine b2b sulla travel & event industry. Gestisce inoltre i progetti editoriali di extralberghiero.it, dedicato agli operatori degli affitti brevi, storytravel.org, sul turismo cinematografico, e cicloturismo360.it, per gli amanti del turismo su due ruote. Laureato in economia aziendale in Bocconi, giornalista dal 2001, ha oltre 15 anni di esperienza nel turismo. Dal 2009 al 2015 è stato web project manager dei magazine TTG Italia ed Event Report e delle fiere collegate TTG e BTC. Dal 2015 al 2019 è stato direttore di webitmag.it, online magazine di Fiera Milano Media su turismo e tecnologia. Ha pubblicato per Hoepli il manuale "Digital Marketing Extra Alberghiero" (2019).

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