La Cina ha ordinato alle proprie compagnie aeree di sospendere l’acquisto e la ricezione di nuovi aerei Boeing, inclusi quelli già ordinati ma non ancora consegnati. Questa decisione è una risposta diretta ai dazi imposti dall’amministrazione Trump, che ha applicato tariffe fino al 145% sui beni cinesi, mentre Pechino ha risposto con dazi del 125% sui prodotti statunitensi, rendendo economicamente svantaggioso l’acquisto di aerei e componenti americani
Questa mossa colpisce duramente Boeing, che già affronta problemi legati alla reputazione dei prodotti, controversie legali e difficoltà sindacali. Nel 2024, l’azienda ha registrato perdite per 11,8 miliardi di dollari. La Cina rappresenta circa il 15% del mercato globale dell’aviazione civile, con una previsione di crescita fino al 20% nei prossimi 15 anni, rendendo il mercato cinese cruciale per i produttori di aeromobili.
Airbus, il principale concorrente europeo di Boeing, potrebbe trarre vantaggio da questa situazione. Già in seguito alla crisi di reputazione della compagnia americana negli ultimi anni, Airbus ha aumentato la sua quota di mercato in Cina, superando Boeing come principale fornitore di aerei nel paese . Con Boeing temporaneamente esclusa dal mercato cinese, Airbus potrebbe consolidare ulteriormente la sua posizione, anche se l’incertezza legata alla guerra commerciale potrebbe influenzare anche le sue operazioni.
Nel frattempo, la Commercial Aircraft Corporation of China (COMAC) sta cercando di affermarsi come terzo attore nel mercato globale dell’aviazione e potrebbe trarre vantaggio dalla situazione che si è venuta a creare. Il suo aereo di punta, il C919, ha effettuato il primo volo commerciale nel 2023 con China Eastern Airlines e ha ricevuto oltre 1.000 ordini, principalmente da compagnie cinesi. COMAC mira a ottenere la certificazione europea per il C919 entro quest’anno e prevede di iniziare voli commerciali nel sud-est asiatico entro il 2026 .
Nonostante la congiuntura apparentemente favorevole, COMAC deve però affrontare diverse sfide per competere a livello internazionale. La produzione del C919 dipende ancora da componenti stranieri, e l’azienda deve ottenere certificazioni di sicurezza da autorità aeronautiche occidentali, un processo che potrebbe essere complicato da diversi ostacoli di natura geopolitica .
L’espressione latina ad libitum non è riferita al contenuto o all’attendibilità delle statistiche del turismo, ma al loro uso spesso disinvolto che molti (politici, manager, esperti, operatori, giornalisti ecc.) ne fanno, a seconda della convenienza a supporto delle proprie tesi e dei propri ragionamenti. Basta leggere alcuni articoli di giornale e soprattutto alcune dichiarazioni di illustri esponenti del mondo del turismo, che commentano lo storico sorpasso dell’Italia al secondo posto in Europa nei confronti della Francia circa il numero di presenze turistiche complessive nel 2024.
Stando infatti ai numeri comunicati da Eurostat e pubblicati nella tabella 1, il nostro Paese con 458,3 milioni di pernottamenti avrebbe superato la Francia ferma a 451 milioni, con la Spagna che si riconferma ancora al primo posto con 500,1 milioni. Nel 2023 infatti i numeri e le relative classifiche erano un po’ diversi, con la Spagna sempre al primo posto con 485 milioni di presenze, seguita al secondo posto dalla Francia con 460,3 milioni e dall’Italia al terzo posto con 447,2.
Da notare al riguardo che sia la Spagna sia l’Italia hanno registrato un aumento delle presenze, mentre la Francia ha avuto una flessione di 8,7 milioni, dovuta quasi esclusivamente al movimento turistico interno dei residenti, passato da 321,9 milioni a 312,5, mentre è rimasto quasi invariato (138,5 contro 138,4 del 2023) il movimento turistico internazionale, fatto questo che lascia un po’ perplessi se si considera che nel 2024 si sono svolte le Olimpiadi a Parigi, che presumibilmente avrebbero dovuto incrementare la domanda turistica internazionale, che è uno degli obiettivi che “giustificano” i grandi investimenti in infrastrutture sportive e turistico-ricettive che i vari Stati sostengono per ospitare tali eventi.
Fonte: Elaborazioni di G. Maresu da Eurostat: “Tourism statistics, annual results for accommodation” N.B. Nel 2024 per i pernottamenti internazionali la 10^ posizione è stata occupata dalla Cechia con 25,5 milioni. Non sono state però comunicati da Eurostat le statistiche relative alla Turchia che se dovesse almeno confermare le stesse performance del 2023 con 203,2 milioni di pernottamenti totali, si classificherebbe al 5° posto nel ranking delle nazioni europee, scavalcando la Grecia. Eurostat infine non ha comunicato i dati relativi alla Gran Bretagna.
La domanda internazionale invece sembra abbia privilegiato l’Italia, che dai 234,2 milioni di pernottamenti del 2023 è passata a 250 milioni nel 2024 che corrispondono al 54,6% del movimento turistico complessivo, con un incremento di 15,8 milioni, numeri che riconfermano il nostro Paese come il più visitato al mondo dopo la Spagna e dopo gli USA, di cui però non si hanno ancora i dati definitivi relativi né al 2023 né al 2024. Questa posizione nel podio del nostro Paese è stata sempre ignorata da politici, tecnici, giornalisti ed esperti vari, che invece da anni sostengono erroneamente che spetti alla Francia il primato come Paese più visitato al mondo dal turismo internazionale, perché tutti prendono come parametro di riferimento il maggior numero di arrivi alle frontiere, come ha sempre dichiarato la Francia, ma sulla cui attendibilità parlerò più avanti.
1 – Turismo, l’Italia supera la Francia nel 2024 grazie ai turisti stranieri
Con il titolo di questo paragrafo “Il Sole 24Ore” del 7 marzo scorso annunciava una “non notizia” in quanto il sorpasso dell’Italia sulla Francia per quanto riguarda il movimento turistico internazionale si era verificato già da diversi anni, cosa di cui evidentemente non si erano accorti né i giornalisti de “Il Sole 24 Ore”, né gli operatori turistici, né tanto meno, fatto ancora più grave, i dirigenti del Ministero del Turismo, che hanno fatto fare una figura barbina alla Ministra Daniela Santanché, con alcune dichiarazioni alquanto opinabili che riporto qui di seguito.
“Per il turismo abbiamo un solo obiettivo in Italia, che è destagionalizzare. Abbiamo da recuperare ancora 50 milioni di presenze, i numeri veri sono che oggi la Francia fa 106 milioni, la Spagna ne fa 85, l’Italia ne fa 57”. Questa dichiarazione fu fatta da Massimo Caputi, presidente di Federterme nel corso del “Forum Internazionale del Turismo” che si è svolto l’8 e il 9 novembre a Firenze, confondendo gli arrivi alle frontiere con le presenze negli alberghi, numeri riferiti al 2023.
Non da meno è stata la replica della Ministra del Turismo Daniela Santanché che ha ribadito lo stesso “abbaglio” sugli arrivi di M. Caputi: “Il dottor Caputi ha detto che ci mancano circa 50 milioni di turisti ma questo dato deve essere messo nella cornice giusta perché non siamo più nel podio, nelle prime tre posizioni, del ranking del turismo mondiale. È il gap che dobbiamo colmare per tornare a essere primi sul podio. E questa deve essere la nostra sfida, il nostro impegno, la nostra volontà per tornare lì”.
Tralascio qui l’argomento “destagionalizzazione” del dottor Caputi sia per carità di patria, sia perché mi porterebbe fuori tema, e in quanto alla “cornice giusta” confesso che non ci ho capito granché. Mi interessa invece l’argomento del podio, perché calza con l’uso “ad libitum” delle statistiche: la Ministra Santanché infatti nel novembre scorso usava quelle relative agli arrivi alle frontiere per tirare giù dal podio l’Italia, ora invece usa quelle delle presenze per ricollocarla sul podio con un comunicato stampa del Ministero del Turismo del 6 marzo scorso, dove si legge che: “La nostra Nazione consolida il suo ruolo di destinazione privilegiata a livello mondiale, superando la Francia e collocandosi al secondo posto in Europa per numero di presenze turistiche, preceduta dalla sola Spagna. Un altro risultato storico, che ci riempie di orgoglio e testimonia la qualità e l’appeal della nostra offerta turistica, capace di affascinare e attrarre visitatori da ogni dove. Infatti, gli oltre 250 milioni di presenze straniere…rilanciano l’Italia come punto di riferimento per i viaggiatori esteri, andando di pari passo con la grande credibilità internazionale che abbiamo riguadagnato in virtù del lavoro del Governo Meloni…Continueremo quindi a lavorare per rafforzare l’attrattività dell’Italia, puntando su qualità, sostenibilità, innovazione e accessibilità con l’obiettivo di raggiungere nuovi traguardi e consolidare il nostro primato nel panorama turistico internazionale”.
Occorre notare che il miracolo di tale primato si sarebbe verificato in soli quattro mesi, il tempo cioè intercorso tra le due dichiarazioni della Ministra Santanché: quella di Firenze di novembre 2024 e il comunicato del Ministero del 6 marzo 2025. Purtroppo però non si tratta né di miracolo né di meriti da attribuire a chicchessia: sarebbe bastato semplicemente che qualche dirigente del ministero informasse la ministra che l’Italia ha da anni superato la Francia come destinazione per la domanda turistica internazionale! Basta leggere correttamente le statistiche sulle presenze turistiche e non sugli arrivi alle frontiere sia di Eurostat sia dell’Organizzazione Mondiale del Turismo.
2 – Turismo Internazionale: l’Italia ai vertici mondiali
I primi dati al riguardo sono pubblicati nella Tabella 1 dove risulta che già nel 2023 si era verificato tale sorpasso, che risale però addirittura al 1988, quando secondo Eurostat, le presenze internazionali in Italia furono 121,24 milioni contro i 99,34 della Francia e i 121 della Spagna: quell’anno l’Italia fu il Paese leader in Europa per numero complessivo di pernottamenti tra nazionali e internazionali con 299,5 milioni, seguita dalla Germania con 273,5, dalla Francia con 258,2 e al quarto posto dalla Spagna con 201 milioni di pernottamenti complessivi. Il sorpasso della Spagna nei confronti dell’Italia come destinazione leader in Europa per il turismo internazionale si verificò invece nel 2004, quando la Nazione Iberica realizzò 209,1 milioni di pernottamenti, contro i 141,2 dell’Italia e i 104,2 della Francia, che tra presenze internazionali e nazionali realizzò in totale 283 milioni classificandosi però solo al quarto posto per pernottamenti complessivi, preceduta al terzo dalla Germania con 338,8 milioni, al secondo dalla Spagna con 344,3 milioni e al primo posto dall’Italia che realizzò in totale 345,6 milioni di pernottamenti. Questi dati li ho desunti sia da Eurostat sia dalla XV Edizione del “Rapporto sul Turismo Italiano 2006/2007”, realizzato a cura di Mercury Srl, in collaborazione con ISTAT ed ENIT e con il Patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ma esistono altre fonti che suffragano l’affermazione del titolo del presente paragrafo e in primis la “Indagine sul Turismo Internazionale ai fini della compilazione della bilancia dei pagamenti”, che la Banca d’Italia conduce da anni e che di solito pubblica annualmente nel mese di giugno.
Voglio quindi sottolineare che è da decenni che l’Italia supera costantemente la Francia per numero di presenze turistiche internazionali, un fatto di cui evidentemente non si sono mai accorti non solo la Ministra Santanché, ma neanche i dirigenti del suo dicastero, i tecnici, i manager, i giornalisti e tutta una pletora di esperti e consulenti! Eppure sarebbe bastato documentarsi un po’ alle fonti ufficiali delle statistiche, e prendere in considerazione soprattutto i dati sulle presenze turistiche invece che quelli sugli arrivi alle frontiere, che oltre tutto non comportano alcuna ricaduta sull’economia del turismo del Paese di destinazione, oltre a distorcere le classifiche internazionali sulle Nazioni più visitate al mondo.
Fonte: Elaborazione di G, Maresu su dati: “UNWTO Tourism Highlighs 2023” e “UNWTO Tourism Statistics Database 2023” N.B. Per l’anno 2020 non si è ritenuto opportuno elaborare il ranking mondiale perché la pandemia del covid ha inciso in maniera anomala e diversificata sul movimento turistico internazionale da Paese a Paese. **Nel 2022 il ranking mondiale relativo alle presenze risulta un po’ falsato in quanto non sono stati pubblicati i dati relativi agli USA e alla Gran Bretagna.
Inoltre l’attendibilità delle statistiche sugli arrivi alle frontiere dei Paesi facenti parte dell’Unione Europea è inficiata dal fatto che con l’entrata in vigore nel 1993 degli accordi di Shengen, è stato introdotto il principio della libera circolazione delle persone all’interno dei confini dell’U.E. senza alcun controllo alle frontiere: come fa quindi la Francia a contare i turisti europei che vi arrivano?
Al di là di tutto ciò, l’inattendibilità matematica dei dati sugli arrivi alle frontiere dei turisti internazionali, interpolati a quelli sulle presenze relativi alla Francia, è dimostrata dalla tabella 2, elaborati in base alle statistiche più recenti, quelle del 2022, diffuse dall’Organizzazione Mondiale del Turismo (UNWTO), da cui risulta che la Francia avrebbe occupato il primo posto al mondo per numero di arrivi di turisti internazionali con 79,4 milioni, seguita nell’ordine dalla Spagna (71,7), dagli USA (50,9), dalla Turchia (50,5) e dall’Italia che, con 49,8 milioni si sarebbe collocata al quinto posto. Le presenze turistiche internazionali ribaltano però clamorosamente tale classifica che invece, sempre nel 2022 avrebbe visto al primo posto la Spagna con 271,4 milioni di presenze, seguita al secondo posto dall’Italia con 201,1 milioni, al terzo posto dalla Turchia con 147,2 milioni, mentre la Francia si sarebbe collocata solo al quarto posto con 123,9 milioni, anche se non sono state comunicate le presenze nel 2022 negli USA.
Tuttavia il risultato più sorprendente sul movimento turistico internazionale riguarda le giornate di permanenza media dei turisti nei vari Paesi visitati, che si ottengono dividendo le presenze complessive per il numero di arrivi alle frontiere. Tali calcoli hanno portato ai seguenti risultati, sintetizzati sempre nella tabella 2: nel 2022 ogni turista internazionale avrebbe soggiornato in Francia mediamente soltanto 1,44 giorni, dato che l’ha collocata all’ultimo posto (come peraltro era già successo nel 2019!) tra i dieci paesi più visitati al mondo, contro 4,17 giorni di permanenza media in Spagna (prima), 4,03 in Italia (seconda), 4,01 in Grecia (terza) e 3,74 giorni in Austria, quarta nel mondo. Di fronte a questi dati incontestabili penso crolli definitivamente il mito della Francia come Paese più visitato al mondo dai turisti internazionali, sperando che d’ora in poi non lo si riproponga più da parte di chicchessia e soprattutto che la Francia si decida finalmente e fornire statistiche più attendibili circa il movimento turistico internazionale che si verifica al suo interno.
3 – Turismo internazionale in Italia: Banca d’Italia versus ISTAT
Ritornando alle affermazioni della Ministra Santanché circa il sorpasso dell’Italia sulla Francia, esistono però altre fonti che invece suffragano l’affermazione che sia l’Italia e non la Spagna ai vertici del turismo mondiale come nazione più visitata al mondo dai turisti internazionali: si tratta della “Indagine sul turismo internazionale alle frontiere” della Banca d’Italia, già citata.
Mettendo quindi a confronto le due fonti, l’ISTAT da una parte e la Banca d’Italia dall’altra, ho sintetizzato i risultati nella tabella 3, relativi alle presente (pernottamenti) dei turisti stranieri in Italia negli anni dal 2021 al 2023 (non sono stati ancora pubblicati i dati relativi al 2024 dalla Banca d’Italia), da cui si evince che nel 2021 secondo l’ISTAT le presenze sarebbero state oltre 106 milioni, mentre secondo la Banca d’Italia sarebbero state quasi il doppio: 208 milioni e mezzo, Nel 2023 secondo l’ISTAT sarebbero state 234,2 milioni, mentre secondo la Banca d’Italia sarebbero state 387,8 milioni! Tali macroscopiche differenze si spiegano con il fatto che l’ISTAT analizza solo il movimento turistico che si verifica nelle sole strutture ricettive alberghiere ed extralberghiere ufficialmente classificate come tali dalle varie leggi nazionali e regionali, che consistono in 224.644 imprese che offrivano complessivamente 5.200.234 posti letto nel 2022.
I dati sono espressi in migliaia Fonte: elaborazione di G.Maresu da: ISTAT, “Annuario Statistico Italiano 2023 Turismo” e da: Banca d’Italia, “Indagine sul Turismo Internazionale, Statistiche 18 giugno 2024”
L’ISTAT non analizza però il movimento turistico ospitato negli oltre 3 milioni di case e appartamenti offerti in locazione turistica soprattutto nelle località balneari e montane e nelle principali città d’arte, secondo lo studio di Mercury/Rescasa: “Il turismo italiano negli appartamenti. Primo Rapporto 2005”. Tale offerta ricettiva è stata peraltro riconfermata più di recente anche della FIAIP, Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali, nel “Report Immobiliare delle locazioni brevi ad uso turistico nelle principali località italiane” del 2022.
Ipotizzando che questi appartamenti dispongano mediamente di soli 4 posti letto, si arriverebbe a un’offerta ricettiva di 12 milioni di posti letto che attiverebbero il cosiddetto “Turismo che non appare”, come viene così definito anche nel “XX Rapporto sul Turismo Italiano – Edizione 2015/2016” a pagina 48. La Banca d’Italia invece nella sua “Indagine sul turismo internazionale alle frontiere” tiene conto di tutte le transazioni relative ai turisti internazionali che soggiornano nel nostro Paese in qualsiasi tipologia di struttura ricettiva, classificata o meno, comprese le case vacanza in affitto anche presso amici o parenti.
4 – Il “Turismo che non appare” ma che esiste ed è pure da record mondiale!
Non esistono tuttavia statistiche da fonti ufficiali come ISTAT e Banca d’Italia, che analizzino anche il movimento turistico degli italiani che soggiornano per vacanza negli oltre 3 milioni di case e appartamenti cui si è accennato, ma esiste solo un’indagine pubblicata nel “XX Rapporto sul Turismo Italiano, Edizione 2015/2016” a cura del CNR-Consiglio Nazionale delle Ricerche, dove al capitolo “Fra congiuntura e lungo periodo”, curato da Emilio Becheri, sono stati presi come dati di riferimento le statistiche ufficiali dell’ISTAT riferite al movimento turistico degli italiani e degli stranieri in Italia nel 2014 cui sono stati applicati dei “moltiplicatori” (3,61 per i pernottamenti degli italiani e 1,75 per i pernottamenti degli stranieri), desunti da varie indagini, che hanno prodotto i seguenti risultati, sintetizzati nella tabella 4: – i pernottamenti effettivi dei turisti italiani sarebbero stati 689,6 milioni contro i 191 milioni circa rilevati dall’ISTAT nelle sole strutture ricettive classificate; – i pernottamenti dei turisti internazionali sarebbero stati 326,4 milioni contro i 186,8 milioni circa rilevati dall’ISTAT nelle sole strutture ricettive classificate; – di conseguenza i pernottamenti turistici totali verificatisi nel 2014 in Italia sarebbero stati 1,16 miliardi contro i 377,8 milioni circa rilevati dall’ISTAT nelle sole strutture ricettive classificate!
Fonte: E, Becheri in: “XX Rapporto sul Turismo Italiano, Edizione 2015/2016” a cura di CNR/IRISS, Consiglio Nazionale delle Ricerche/Istituto di Ricerca su Innovazione e Servizi per lo Sviluppo
Per quanto clamorosi possano sembrare questi dati, tuttavia essi rispecchiano, forse addirittura per difetto, la reale dimensione e consistenza del movimento turistico effettivo che si verifica annualmente nel nostro Paese, in massima parte purtroppo non rilevato ufficialmente e che di conseguenza “non appare”, anche se esiste: basterebbe che si facessero delle ispezioni a tappeto sulle località balneari soprattutto delle Regioni meridionali, della Liguria e delle isole maggiori per rendersi conto che le sole strutture ricettive classificate non hanno una capacità ricettiva sufficiente ad ospitare i milioni di turisti che affollano le loro spiagge!
Non sono infatti molto convinto del fatto che l’introduzione del CIN per le strutture offerte per affitti brevi faccia emergere del tutto il sommerso delle presenze turistiche non rilevate negli oltre 3 milioni di appartamenti offerti in locazioni turistiche rilevati dalla FIAIP: Comunque, applicando il moltiplicatore complessivo di 2,69, come calcolato per le presenze del 2014 (tabella 4) ai 458,3 milioni di presenze complessive rilevate da Eurostat e da ISTAT, nel 2024 nel nostro Paese (tabella 1), si arriverebbe addirittura a 1,23 miliardi complessivi di pernottamenti! Un record difficilmente attaccabile nel mondo né dalla Francia né dalla Spagna. Bisognerebbe però farlo sapere anche ai giornalisti, ai manager, ai dirigenti del Ministero del Turismo e alla stessa ministra Daniela Santanché.
In questi ultimi anni, il settore alberghiero sta affrontando una seria difficoltà nel reperire personale qualificato, in particolare nei reparti di cucina e ristorante. Questa problematica sta avendo un impatto significativo sull’operatività delle strutture ricettive, mettendo a rischio la qualità del servizio offerto e seppur io ne abbia scritto in un post relativamente recente vorrei ritornare su un argomento talmente grave per via di un episodio durante un mio recente incontro professionale. Un neo albergatore mi ha confessato di non voler aprire la struttura perché non riesce a trovare personale soprattutto nel settore cucina, mettendo a repentaglio ingenti capitali investiti per la struttura.
Ma quali sarebbero le cause di questa carenza di lavoratori?
I motivi per cui molte persone evitano di lavorare in hotel, specialmente in cucina e ristorante, sarebbero legate alle condizioni di lavoro, alle retribuzioni non sempre adeguate e alle prospettive di carriera. Orari sono spesso lunghi e irregolari, con turni che comprendono weekend, festività e orari serali renderebbero difficile la vita professionale con quella personale, inoltre, il carico di lavoro è spesso intenso, con ritmi serrati che aumentano il livello di stress e il rischio di burnout. In aggiunta, la grande richiesta di personale non fa lievitare gli stipendi offerti, non competitivi rispetto ad altri settori con condizioni di lavoro più regolari e meno stressanti, in particolare, per ruoli di base come camerieri e aiuto cuochi, la paga non sempre rispecchia l’impegno e la fatica richiesti. In effetti, l’incremento delle paghe nel settore alberghiero e ristorativo è stato costantemente penalizzato e ciò si potrebbe dedurre dai dati ISTAT dove l’inflazione cumulata dal 2007 ad oggi risulta essere vicina al 38% quindi al netto dei rincari, le retribuzioni dei lavoratori si sono ridotte di circa il 10%. È anche noto che, la gestione di strutture nel settore alberghiero ha un profilo di redditività alquanto basso in quanto il volume di costi non permette di generare un controvalore adeguato e conseguentemente le retribuzioni risultano essere inferiori rispetto ad altri settori come l’industria o quelli relativi all’innovazione. Parte del problema dunque è da imputare ai costi di gestione i quali non permettono di creare utili adeguati all’imprenditore che di riflesso si rivale sulle retribuzioni dei lavoratori.
Possibili soluzioni?
La centralità delle soluzioni risiede innanzitutto in un abbattimento dei costi di gestione. Pervenendo a una diminuzione costante della spesa si riuscirebbe a garantire una condizione lavorativa migliore e quindi una fidelizzazione delle figure professionali verso l’azienda. Ciò che manca a una gran parte dell’imprenditoria alberghiera è la consapevolezza che la gestione di un albergo o di un ristorante è notevolmente cambiata rispetto a pochi anni fa (oserei dire che la linea di demarcazione tra le due metodologie è fortemente segnata dall’avvento della scorsa pandemia) e il “modus operandi” necessita di un cambiamento strutturale che coinvolge alcuni passaggi obbligati come ad esempio, l’efficientamento energetico quale spesa rilevante di gestione, l’ottimizzazione degli acquisti, l’investimento sulle attrezzature “salvatempo” (ad esempio in cucina preferire forni combinati intelligenti, sottovuoto e abbattitori di temperatura di ultima generazione, robot multifunzioni, software per la gestione delle scorte e del food cost), la formazione costante del personale per aumentare la produttività e ridurre gli errori.
Altro elemento di pari importanza e nel maggior parte dei casi assente è la creazione di un ambiente di lavoro positivo, promuovendo il lavoro di squadra, organizzando eventi aziendali e garantendo una comunicazione trasparente dove vige una disciplina dosata con gentilezza, lontana dai modelli stereotipati di certe trasmissioni televisive di “cooking contest”. La possibilità di avanzamenti interni e il riconoscimento del merito poi possono aumentare la motivazione e il senso di appartenenza. Bisognerebbe altresì semplificare le procedure burocratiche per assumere lavoratori stranieri per risolvere la carenza di personale, le normative spesso rendono difficile il processo di assunzione ed uno snellimento di queste procedure unitamente a programmi di integrazione culturale potrebbe essere una soluzione efficace.
Ma il cambiamento più importante resta in capo alla dirigenza operativa, in parte rimasta ancorata a vecchi cliché antidiluviani i quali necessitano di una revisione drastica nel “modus operandi” e coadiuvata a mio avviso, dall’obbligo di aggiornamenti periodici per mantenere lo status di operatore alberghiero.
Se il settore alberghiero vuole superare questa sfida, deve adattarsi alle nuove esigenze ed investire in un modello di gestione diverso dal passato, solo così sarà possibile garantire un servizio di qualitativo ed attrarre nuove generazioni di professionisti motivati.
Il turismo congressuale è il segmento più difficile e complesso non solo da analizzare, ma anche da pianificare, promuovere, organizzare e gestire a causa dell’eterogeneità e numerosità dei soggetti e degli organismi che ne compongono la filiera. Ciò porta inevitabilmente anche gli analisti a schematizzare e semplificare le loro ricerche al fine di facilitarne la comprensione dei dati, con risultati spesso fuorvianti che creano più confusione che conoscenza, come succede confrontando i dati relativi ai congressi internazionali diffusi da ICCA (International Congress and Convention Association), da UIA (Union of International Associations),
A tale confusione contribuisce anche il fatto che congressi, fiere ed esposizioni vengono ascritti ad un unico settore che va sotto l’acronimo di MICE (Meetings. Incentives, Congresses and Exhibitions), salvo poi constatare che i dati pubblicati dai due Istituti si riferiscono esclusivamente agli eventi congressuali tecnicamente intesi, cioè a riunioni di persone, mentre le fiere non vengono prese in considerazione. In questa sede quindi vorrei definire le tipologie e le caratteristiche sia degli eventi fieristici, sia del segmento del turismo congressuale, che invece erroneamente viene assimilato al turismo d’affari cui invece appartengono le fiere.
1 – Turismo Congressuale e Turismo d’Affari
“L’Italia è la destinazione preferita per il business in Europa. Durante la fiera Imex di Francoforte è stato annunciato che l’Italia ha sorpassato la Spagna, diventando la principale destinazione europea per i viaggi d’affari”. Tra i tanti articoli sul turismo congressuale (tutti sullo stesso tono!) pubblicati sulla stampa specializzata e non, ho scelto questo di una rivista online, che nel maggio dell’anno scorso commentava il presunto primato europeo dell’Italia come sede dei congressi internazionali. Vi sono infatti sintetizzati un paio di ossimori: il primo è quello che l’Italia sia il Paese più importante per il turismo d’affari: la Germania e la Gran Bretagna penso abbiano qualcosa da obiettare al riguardo. Il secondo ossimoro è quello che assimila i congressi ai viaggi d’affari e di conseguenza il business travel al turismo congressuale, che invece è di ben altra natura per le seguenti ragioni:
Il turismo d’affari è attivato da chi viaggia individualmente, secondo necessità ed interessi sia personali sia dell’azienda di appartenenza, in date a libera scelta, fruendo di servizi di trasporto e turistico-ricettivi personalizzati/individuali a richiesta, verso qualunque destinazione dove si presenti l’opportunità di attivare relazioni d’affari, per concludere accordi di carattere economico-commerciale, o per partecipare ad una fiera;
un congresso è un evento di comunicazione, informazione e formazione di carattere collettivo, che si svolge solo in date prefissate dall’organismo promotore, cui possono partecipare solo gli appartenenti a tale organismo e i loro accompagnatori se ammessi. Non è quindi un incontro d’affari aperto a chiunque;
la domanda congressuale è costituita da persone appartenenti a organismi sia pubblici sia privati (OIG, OING) e ad associazioni di carattere culturale, professionale, scientifico, politico, sindacale, che fruiscono di servizi turistici preorganizzati esclusivamente per quel determinato “evento aggregativo”;
la promozione del turismo congressuale è svolta da uno specifico organismo: il Convention Bureau che aggrega l’offerta complessiva (fattori di attrattiva, fornitori di servizi, di strutture e infrastrutture) di un determinato territorio (Nazione, Regione, Città), avanzandone la candidatura presso i promotori di eventi congressuali, come sede di svolgimento dell’evento e supportando l’attività tecnica degli organizzatori: PCO o MP;
a sgomberare il campo dagli equivoci contribuisce anche l’accordo di collaborazione siglato in data 18 febbraio 2025 tra “Federcongressi&Eventi” e “AEFI-Associazione Esposizioni e Fiere Italiane”, settore quest’ultimo che “in Italia genera un impatto sui territori di 22,5 miliardi di euro l’anno”, come si legge nel comunicato stampa congiunto tra le due associazioni, in cui vengono evidenziate le differenze tra i due settori e sottolineata “l’esigenza di concretizzare la cooperazione su quattro linee di azione: rappresentanza … formazione, analisi e ricerche e networking tra i player dei due settori”.
2 – Che cos’è un congresso
Chiarito l’equivoco relativo al segmento di appartenenza, occorre definire cosa sia un congresso, senza peraltro entrare nel merito delle varie tipologie di riunioni (conferenze, convegni, convention, meeting, incentive ecc.) in base alle fonti, agli studi e alle indagini statistiche tra le quali esistono macroscopiche differenze. La IAPCO nel suo “Online Dictionary” definisce il congresso come “Riunione regolare su base rappresentativa di diverse centinaia – o addirittura migliaia – di individui appartenenti a un unico gruppo professionale, culturale, religioso o altro…per trattare un argomento particolare…con. Frequenza solitamente stabilita preventivamente e può essere pluriennale o annuale…Un congresso durerà spesso diversi giorni e avrà diverse sessioni simultanee”. Da questa definizione tecnica è nata quella di natura sociologico-funzionale da me enunciata nel 2000 nel mio libro “Il sistema dei congressi e degli eventi aggregativi” (editore U.Hoepli) che recita così: “Il congresso è un microsistema fittizio di via associata organizzata, posto in relazione con il macrosistema socioeconomico, culturale, ambientale e turistico del territorio ospitante, finalizzato alle necessità di comunicazione, informazione e formazione dei promotori e dei congressisti”.
Le fonti statistiche sui congressi invece focalizzano le loro indagini sugli aspetti numerici senza entrare nel merito delle loro tipologie o caratteristiche tecniche, come nel caso dei congressi internazionali, classificati in maniera totalmente differente tra i tre seguenti Istituti di ricerca:
La UIA definisce internazionali i congressi che durano almeno tre giorni con almeno 300 partecipanti, il 40% dei quali proveniente da almeno 5 Nazioni diverse; oppure, se l’incontro dura almeno due giorni, deve avere almeno 250 congressisti di 5 Nazioni diverse;
la ICCA definisce internazionali i congressi con un minimo di 50 partecipanti, provenienti da almeno 3 Paesi diversi.
L’OICE (Osservatorio Italiano dei Congressi e degli Eventi) definisce come eventi congressuali “gli incontri della durata di almeno 4 ore con un minimo di 10 partecipanti”, mentre la connotazione di internazionalità viene attribuita a quelli che hanno “partecipanti provenienti in numero significativo dall’estero”. senza fornire una specifica circa tale significatività. Risulta inoltre poco credibile che un congresso di almeno 10 partecipanti e della durata di almeno 4 ore possa ospitare un numero significativo di partecipanti provenienti dall’estero!
3 – La danza dei numeri dei congressi in Italia
La confusione aumenta se dall’esegesi del segmento si passa a quella delle fonti delle statistiche prodotte dai succitati tre Istituti di ricerca, che hanno portato alla diffusione di roboanti comunicati stampa, che lo scoro anno davano la notizia di una sorta di primato europeo e quasi mondiale che avrebbe raggiunto l’Italia come sede dei congressi internazionali nel 2023 e che qui di seguito riporto, anche al fine di smentire tali primati “numeri alla mano”.
C.s. del Ministero del Turismo del 13 maggio 2024: “Turismo, la scalata dell’Italia: prima in Europa per congressi ospitati. Grande scalata per l’Italia che in soli cinque anni passa dal sesto al primo posto e raggiunge la vetta d’Europa per numero di congressi ospitati. Il nostro paese è la prima destinazione in Europa per congressi e convegni ospitati nell’anno 2023 secondo il report annuale di ICCA”.
Notizia dell’Agenzia AGI del 24 maggio 2024: “In Italia la fabbrica dei congressi – Il Bel paese scala la classifica delle nazioni che ospitano più congressi. Dal sesto al primo posto in un settore turistico che vede le principali città italiane tra le più attive in Europa”
C.s. di Federturismo-Confindustria del 24 maggio 2024: “ICCA: Italia prima in Europa per congressi ospitati – Prima in Europa e seconda nel mondo dietro gli Stati Uniti. L’Italia conquista la vetta continentale del turismo congressuale e in cinque anni passa dal sesto al primo posto per numero di eventi ospitati nel 2023, secondo il report annuale di ICCA
3.1 – UIA e ICCA: criteri, numeri e classifiche discordanti
Come si vede, tutti citano ICCA come unica fonte dei dati, nessuno invece cita le statistiche ben diverse di UIA, come risulta dalla tabella 1, che oltre ad essere un organismo ben più autorevole e con una esperienza ben più lunga di quella di ICCA, essendo nato nel 1907 (la ICCA nel 1972), possiede un data-base di 499.498 meeting promossi con regolarità in 268 Paesi e 12.110 città, da 28.733 organizzazioni internazionali governative (OIG) e non (OING). Inoltre il suo “Yearbook of International Organizations” include i profili dettagliati di 75.000 organizzazioni internazionali di circa 300 Paesi, delle quali circa 42.000 svolgono attività con regolarità. La ICCA invece dispone di un database di 220.000 meeting, 20.000 dei quali promossi con regolarità da 11.500 associazioni internazionali.
I risultati dell’esegesi di queste due fonti internazionali sono sintetizzati nella tabella 1 da cui risulta che nel ranking dei primi 10 paesi e città al mondo che nel 2023 hanno ospitati congressi internazionali 10 Paesi e città al mondo che hanno ospitato congressi internazionali nel corso dal 2023, risulta che l’Italia secondo la ICCA si sarebbe classificata al secondo posto nel mondo con 553 congressi internazionali, gli USA con 690 congressi, e al primo in Europa, come annunciato nei vari comunicati riportati all’inizio di questo paragrafo, con Roma al 7° posto nel mondo con 115 congressi. Secondo la UIA invece l’Italia con 310 congressi internazionali si sarebbe classificata al 9° posto nel mondo e al 6° posto in Europa preceduta nell’ordine da Francia, Gran Bretagna, Austria, Spagna e Belgio che avrebbe guidato la classifica mondiale con 708 congressi internazionali ospitati, precedendo addirittura gli USA che si sono classificati al secondo posto con 633. Non è questa la sede per fare un’analisi più approfondita delle due classifiche così difformi, tuttavia è incontestabile il fatto che entrambe abbiano forti elementi di parzialità se non di inattendibilità per ragioni diverse. Non si capisce infatti perché la UIA non consideri i congressi internazionali che abbiano un numero di partecipanti inferiore ai 250, al contrario dell’ICCA che invece considera anche quelli con 50 partecipanti ma esclude dalla sua analisi quelli promossi dalle OIG! Non contribuisce a far chiarezza sulla discriminante numerica neanche la definizione di congresso della IAPCO, che al riguardo parla di “diverse centinaia di individui”, come riportato nel paragrafo 2.
3.2 – L’Osservatorio Italiano dei Congressi e degli Eventi (OICE)
Ad aumentare ulteriormente la confusione contribuiscono i dati sul mercato interno italiano elaborati dall’Università Cattolica di Milano/Istituto ASERI e pubblicati sull’Osservatorio Italiano dei Congressi e degli Eventi (OICE), promosso da Federcongressi&Eventi, per le seguenti ragioni:
Pur distinguendo, in base al titolo, gli eventi dai congressi, tuttavia la ricerca esclude dall’indagine: “mostre, esposizioni, eventi privati (matrimoni e simili) concerti, spettacoli se rappresentano l’attività principale della sede (teatri, arene, cinema ecc.)” e fa assurgere al ruolo di evento congressuale “un incontro della durata di almeno 4 ore con un minimo di 10 partecipanti”! Presumo che tra tali eventi siano incluse anche migliaia di assemblee condominiali se si svolgono in una sala congressuale;
non fornisce alcun dato né sulla durata media in giorni dei vari eventi, né sulle presenze alberghiere generate;
non fornisce alcuna cifra circa l’economia: spesa congressuale, indotto generato da tale spesa, costo medio di una giornata congressuale, economia allargata del segmento congressuale;
prende in considerazione solo i dati forniti “a valle” dalla filiera congressuale, ignorando le fonti generatrici di eventi: gli organismi promotori, che sono i soggetti destinatari delle strategie di promo-commercializzazione degli organizzatori, delle sedi congressuali e dei convention bureau;
è poco utile, da un punto di vista del marketing, un osservatorio che si limita a contare solo gli eventi che si svolgono nelle circa 5.600 sedi congressuali del suo data-base, di cui peraltro solo 631 hanno risposto all’indagine relativa al 2023, come si legge nella brochure;
classifica come internazionali quei congressi con partecipanti provenienti “in numero significativo dall’estero”, senza fornire una specifica circa tale significatività. Secondo l’indagine relativa al 2023 i congressi internazionali sarebbero stati il 9% (30.605) del totale di 340.057, mentre i partecipanti sarebbero stati il 13,9% (3.774.251) su un totale di 27.152.890, come riportato nella tabella 2. Va ricordato al riguardo che per l’ICCA sarebbero stati 553, mentre per la UIA soltanto 310;
sempre in relazione alla internazionalità, risulta inoltre poco credibile che un congresso di almeno 10 partecipanti e della durata di almeno 4 ore possa prevedere un numero significativo di partecipanti provenienti dall’estero!
Dal confronto dei numeri sui congressi internazionali comunicati dalle tre fonti emerge chiaramente che siamo ben distanti dalla realtà circa le dimensioni effettive del fenomeno, cui si aggiunge l’assenza di qualsiasi riferimento alle diverse tipologie di eventi (congressi, convention, incentive, conferenze ecc.), ai relativi trend e di conseguenza alle diverse motivazioni che spingono i congressisti a parteciparvi e gli organismi generatori a promuoverli: elementi questi essenziali per implementare efficaci strategie di marketing e promozione da parte di convention bureau e PCO. Riguardo all’inadeguatezza del solo dato statistico nella comprensione di un determinato fenomeno si era infatti già espresso un esperto di ricerche motivazionali come Harry Henry, che nel suo libro del 1987 “La ricerca motivazionale” scriveva che: “Le statistiche sono come i bikini: rivelano cose molto interessanti e istruttive ma in genere nascondono l’essenziale!”. Dopo questo carrellata di numeri sul congressuale, penso che le statistiche non solo del settore ma anche quelle del turismo in generale non siano ancora arrivate al livello del bikini, ma siano ancora ferme al…burka!
Nel 2025, il settore turistico in Italia sta vivendo una significativa evoluzione, con l’emergere di nuove professioni che rispondono alle mutate esigenze dei viaggiatori e alle innovazioni tecnologiche. Le professioni tradizionali nel turismo sono oggetto di una trasformazione graduale, ma non vengono ovviamente “soppiantate” bensì si stanno adattando ed integrando con le tendenze emergenti del settore, anche se per molte professioni il cambiamento è stato radicale, a causa dei mutamenti nelle abitudini dei viaggiatori con una crescente domanda di esperienze più personalizzate, spesso in forme diverse.
Ve ne sono alcune che sono orientate verso le nuove aspettative del turista odierno, come ad esempio la figura degli Agenti di Viaggio. Tradizionalmente, gli agenti di viaggio si occupavano di prenotare voli, hotel e pacchetti turistici per i clienti, con l’avvento delle agenzie di viaggio online (OTA) e delle piattaforme di prenotazione, il loro ruolo si è evoluto. Oggi molti agenti di viaggio sono diventati consulenti di viaggi esperienziali, focalizzandosi su itinerari personalizzati, esperienze autentiche e turismo di nicchia. Stessa sorte anche per alcune GuideTuristiche, che proponevano visite guidate nei principali siti turistici, ora spesso si specializzano in esperienze tematiche o immersive, anche per l’aumento del turismo esperienziale e per l’interesse verso programmi più particolari ed autentici, le stesse propongono tour specializzati in cibo, cultura, arte, natura e avventure all’aperto.
Ma il cambiamento interessa anche gli Alberghi. Alla stregua delle Agenzie di Viaggio, gli hotel tradizionali si stanno evolvendo in strutture più uniche, come glamping, eco-lodge e boutique hotel, per attrarre un pubblico più giovane e sensibile alla sostenibilità. Molti operatori nel settore alberghiero stanno integrando tecnologie come l’automazione, app per il check-in e il check-out, e servizi personalizzatitramiteintelligenzaartificiale, che oramai è entrata a pieno titolo nella gestione alberghiera fornendo un contributo il quale, oltre a coadiuvare l’albergatore nella vendita dei servizi, riduce sensibilmente i costi superflui, che rappresentano una costante nella conduzione ricettiva.
Tale premessa mi concede l’opportunità di fornire una sorta di breve vademecum sulle nuove opportunità lavorative che sostanzialmente riflettono l’adattamento del settore turistico alle nuove tendenze, focalizzandosi su sostenibilità, personalizzazione dell’esperienza e integrazione tecnologica e che, a mio avviso, bisognerebbe cominciare ad introdurle soprattutto nel percorso formativo (scuola del turismo e corsi di formazione e di aggiornamento) per fornire alle “nuove leve” una visione diversificata da aggiungere alle professioni tradizionali.
Qui di seguito, alcune delle figure più “gettonate” con i relativi compiti:
Destination Manager: è un professionista incaricato di sviluppare strategie innovative per promuovere destinazioni turistiche, utilizzando tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale e la realtà aumentata. Si occupa della gestione, promozione e sviluppo di una destinazione turistica dove il suo obiettivo principale è valorizzare un territorio, attirare visitatori e migliorare l’esperienza turistica, garantendo al contempo la sostenibilità e il benessere della comunità locale.
Esperto di Turismo Sostenibile: è uno specialista che orienta le pratiche turistiche verso la sostenibilità, integrando tecnologie avanzate per ridurre l’impatto ambientale e promuovere viaggi responsabili, specializzato nello sviluppo e nella gestione di attività turistiche che rispettano l’ambiente, le comunità locali e il patrimonio culturale, il suo obiettivo è promuovere un turismo responsabile, minimizzando gli impatti negativi e massimizzando i benefici economici e sociali per le destinazioni turistiche.
Consulente di Viaggi Esperienziale: è un professionista del turismo specializzato nella creazione di viaggi personalizzati e immersivi, che permettono ai viaggiatori di vivere esperienze autentiche e significative. A differenza dei classici agenti di viaggio, il consulente esperienziale non si limita a vendere pacchetti turistici standard, ma progetta itinerari su misura, basati sugli interessi, le passioni e le esigenze del cliente.
Specialista in Marketing Turistico Digitale: è un esperto nel promuovere servizi e destinazioni turistiche attraverso canali digitali, utilizzando strategie di marketing online per raggiungere un pubblico più ampio. Il suo obiettivo è aumentare la visibilità di una destinazione o di un’attività turistica, attrarre nuovi clienti e migliorare l’esperienza del viaggiatore grazie agli strumenti digitali
Gestore di Strutture Eco-Friendly: manager responsabile della supervisione di strutture ricettive ecologiche, assicurando pratiche sostenibili e un impatto ambientale ridotto. Si occupa della gestione e promozione di alloggi turistici sostenibili, come hotel ecologici, agriturismi bio, glamping, eco-lodge e B&B green. Il suo obiettivo principale è offrire ospitalità nel rispetto dell’ambiente, adottando pratiche sostenibili per ridurre l’impatto ecologico e valorizzare il territorio.
Consulente di Viaggi Virtuali: è una figura emergente nel settore del turismo che si specializza nell’offrire esperienze di viaggio completamente digitali, consentendo alle persone di esplorare luoghi, culture e attrazioni senza doversi spostare fisicamente. Questi viaggi virtuali possono essere realizzati attraverso la realtà virtuale (VR), tour interattivi online, video esperienziali e altre tecnologie digitali.
Guida Esperienziale: è una figura professionale che va oltre il tradizionale ruolo di guida turistica, offrendo esperienze immersive e autentiche, pensate per coinvolgere i viaggiatori a un livello più profondo e personale. La guida esperienziale non si limita a raccontare informazioni storiche o geografiche, ma cerca di far vivere al turista l’essenza di un luogo attraverso esperienze sensoriali, emozionali e culturali.
Gestore di Centri per Workation: è un professionista che si occupa della gestione e organizzazione di strutture o spazi ideati per la workation, ovvero una combinazione di lavoro e vacanza. La workation è una tendenza che sta crescendo, dove le persone decidono di lavorare da una destinazione lontana dal loro ufficio tradizionale, godendo dei benefici di un ambiente più rilassato e stimolante. I centri per workation offrono spazi di lavoro attrezzati, ma anche strutture ricettive e attività per il tempo libero, rendendo la permanenza una vera e propria esperienza di lavoro-vacanza.
Gestore di Glamping: si occupa della gestione e dell’organizzazione di strutture di glamping, una forma di campeggio lussuoso che combina l’esperienza immersiva nella natura con il comfort e i servizi tipici di un hotel. Il glamping è ideale per chi vuole vivere l’esperienza del campeggio senza rinunciare al comfort, come letti comodi, bagni privati, aria condizionata e, talvolta, servizi aggiuntivi come ristoranti e spa.
Esperto in Salute e Sicurezza dei Viaggiatori: professionista specializzato nella protezione e nel benessere delle persone che viaggiano, sia per motivi di piacere che di lavoro. Il suo compito principale è quello di garantire che i viaggiatori siano adeguatamente preparati per affrontare eventuali rischi legati alla salute e alla sicurezza durante il loro viaggio, sia nelle destinazioni internazionali che nazionali.
Il settore turistico è in continua evoluzione, influenzato da cambiamenti nei comportamenti dei viaggiatori, innovazioni tecnologiche e nuove esigenze di sostenibilità e formarsi sulle nuove tendenze è un passaggio obbligato che consente a professionisti e imprenditori del turismo di rimanere competitivi al fine di soddisfare le richieste del mercato. Formarsi sulle nuove tendenze turistiche non è più un’opzione, ma una necessità per restare competitivi e attrarre un pubblico sempre più evoluto e digitale e la formazione continua è l’unico modo per restare concorrenziali, rispondere alle nuove esigenze dei viaggiatori ed integrare innovazioni che rendano l’esperienza turistica più fluida, sicura e soddisfacente.
In ogni caso, la centralità delle professioni turistiche alberghiere e turistiche in generale è e sarà comunque ad esclusivo appannaggio dell’uomo quale unica entità capace di fornire “emozioni” e sarà difficile per qualsiasi “robot” rimuovere questa prerogativa. Ciò nonostante l’avvento della tecnologia, oggi supportata in modo preponderante dalla A.I., è una condizione che riesce a “smussare” le imperfezioni tipiche del lavoro effettuato dalla persona, fornendo un importante aiuto a vendere servizi personalizzati al turista.
Proprio come un pilota di formula 1 che unitamente all’uso di una vettura con tecnologia aggiornata e un motore performante pone la sua abilità di guida per giungere al traguardo …magari anche in prima posizione.
Il Carnevale di Venezia, uno dei più famosi d’Italia e del mondo, è iniziato il 16 febbraio 2025, ha nuovamente attirato una folla imponente di turisti, causando un significativo sovraffollamento nelle strette vie e sui ponti della città lagunare. Durante il primo weekend delle celebrazioni, circa 150.000 visitatori si sono riversati a Venezia, creando situazioni di congestione estrema, come testimoniano video virali che mostrano il Ponte di Rialto gremito di persone al punto da rendere difficile il movimento.
Questo afflusso massiccio di turisti durante il Carnevale evidenzia un paradosso nelle politiche di gestione del turismo della città. Nonostante l’evidente problema di overtourism in periodi di alta stagione come il Carnevale, l’implementazione del “Contributo di Accesso”, in pratica un ticket di ingresso a Venezia per chi non vi soggiorna, è prevista solo a partire dal 18 aprile 2025.
Questo contributo, introdotto per la prima volta nel 2024, mira a disincentivare il turismo giornaliero nei giorni di maggiore affluenza, applicando una tassa di ingresso ai visitatori che non pernottano in città.
Nel 2025, il contributo sarà di 10 euro per chi prenota all’ultimo momento e di 5 euro per chi effettua la prenotazione con almeno quattro giorni di anticipo. Le giornate soggette a questa tassa sono aumentate da 29 nel 2024 a 54 nel 2025, coprendo periodi dal 18 aprile fino alla fine di luglio.
La decisione di posticipare l’applicazione del contributo a dopo il Carnevale solleva interrogativi sull’efficacia delle misure adottate per gestire il flusso turistico nei periodi di massimo afflusso. Il Carnevale rappresenta uno degli eventi più attrattivi per i turisti, e l’assenza di un sistema di controllo durante questo periodo cruciale sembra contraddire l’obiettivo dichiarato di mitigare l’overtourism.
Questo ritardo nell’implementazione del contributo potrebbe essere interpretato come una mancanza di coerenza nelle strategie di gestione del turismo, lasciando la città vulnerabile agli effetti negativi del sovraffollamento proprio nei momenti di maggiore pressione.
Inoltre, l’esperienza del 2024 ha mostrato che, nonostante l’introduzione del contributo di accesso, l’impatto sul numero di visitatori è stato limitato. Nel primo anno di applicazione, circa 440.000 persone hanno pagato il contributo, generando un incasso di 2,2 milioni di euro, ma senza una significativa riduzione dell’afflusso turistico. Questo solleva ulteriori dubbi sull’efficacia di tali misure se non accompagnate da una pianificazione più ampia e integrata che consideri anche eventi di grande richiamo come il Carnevale.
Negli ultimi giorni, diverse città italiane sono state teatro di atti vandalici rivolti contro le sedi di aziende operanti nel settore degli affitti brevi e contro dispositivi come le key box, spesso utilizzate per il check-in anticipato degli ospiti. Queste azioni, rivendicate da gruppi come la “Banda di Robin Hood”, stanno destando preoccupazione tra gli operatori del settore e le istituzioni, sia perché alimentano la tensione sociale, ma anche per la pessima immagine che stanno dando al turismo italiano all’estero.
L’Associazione Italiana Gestori Affitti Brevi (AIGAB) ha espresso solidarietà agli operatori colpiti, condannando fermamente questi episodi come attacchi alla libertà privata e imprenditoriale. AIGAB ha lanciato un appello al Governo, in particolare al Ministero dell’Interno e al Ministero del Turismo, affinché vengano tutelati i diritti dei proprietari che mettono a reddito i loro immobili attraverso gli affitti brevi, sottolineando l’importanza economica del settore: “Ci appelliamo al Governo, e in particolare al Ministero dell’Interno e al Ministero del Turismo, e alle autorità di Pubblica Sicurezza affinché tutelino con ogni mezzo previsto i diritti dei proprietari italiani che mettono a reddito i loro immobili attraverso gli affitti brevi, così come degli imprenditori del turismo in appartamento. E soprattutto chiediamo di porre fine ad una campagna denigratoria messa in campo ormai da mesi contro un mercato che porta al PIL italiano annualmente un valore pari a circa 57 miliardi di euro: nel 2023 il settore ha fatto registrare infatti 11miliardi in GBV (valore delle prenotazioni), 44miliardi di indotto (spese degli ospiti per ristoranti, trasporti, cultura, esperienze, shopping) oltre a 2 miliardi di euro per ristrutturazioni e manutenzioni delle case promosse sul circuito degli affitti brevi. Basta demagogia”.
Il Ministro del Turismo, Daniela Santanchè, ha dichiarato: “Condanniamo con fermezza gli atti vandalici delle ultime ore contro i gestori degli affitti brevi. Rimaniamo, come sempre, aperti al dialogo e siamo pronti a una riflessione comune, purché si svolga in un clima di confronto costruttivo, volto a valutare un eventuale miglioramento delle norme attualmente in vigore”.
Quella che si sta consumando, tra presunti difensori del diritto alla casa e famiglie che cercano di mettere a reddito la propria con gli affitti brevi è fondamentalmente una “guerra tra poveri“, tra chi non riesce a pagare i canoni di locazione nelle grandi città e chi si rivolge agli affitti brevi perché gli stessi canoni da affitto ordinario non sono sufficienti ad integrare il reddito familiare. Non a caso la maggior parte delle seconde case degli italiani sono vuote, in zone non turistiche si preferisce tenerle a disposizione anziché affittarle: secondo i dati di Aigab su 9,6 milioni di seconde case sono 503mila sono adibite ad affitti brevi.
“Nel 2023 – ricordano dall’Aigab – il settore degli affitti brevi ha fatto registrare infatti 11 miliardi in GBV (valore delle prenotazioni), 44 miliardi di indotto (spese degli ospiti per ristoranti, trasporti, cultura, esperienze, shopping) oltre a 2 miliardi di euro per ristrutturazioni e manutenzioni delle case promosse sul circuito degli affitti brevi. Su 503mila appartamenti destinati agli affitti brevi solo il 25% è gestito da aziende di property management che sono circa 30 mila, con un indotto nel mondo del lavoro di circa 150mila persone”.
Questi atti vandalici non nascono in un vuoto culturale, ma sono il frutto di un clima di crescente tensione alimentato da mesi di denigrazione mediatica. Il settore degli affitti brevi è stato costantemente dipinto come il principale colpevole di problemi complessi e stratificati come l’overtourism, la gentrification, l’aumento degli sfratti e la crescita vertiginosa dei canoni d’affitto per locazioni a lungo termine. Questa narrativa, utilizzata spesso per sostenere la necessità di regolamentazioni più rigide, ha contribuito a creare un’immagine polarizzata del fenomeno, in cui l’affitto breve è percepito come il nemico da combattere.
In questo contesto è però fondamentale chiedersi se questa semplificazione non stia nascondendo un problema più ampio e strutturale. In un Paese dove esistono circa 9 milioni di abitazioni vuote, possiamo davvero credere che il problema risieda principalmente nelle case immesse nel circuito degli affitti brevi?
La vera questione non è il fenomeno degli affitti brevi in sé, ma l’assenza di politiche abitative a lungo termine. Da un lato, servirebbero interventi per incentivare l’uso delle case vuote e risolvere il problema della disponibilità di alloggi a prezzi accessibili, anche attraverso politiche di affitto calmierato. Dall’altro, sarebbe necessario offrire tutele reali sia ai proprietari, spesso gravati da costi fiscali e gestionali, sia agli inquilini, per evitare situazioni di squilibrio.
Creare un nemico comune non è la soluzione: alimenta la “guerra tra poveri” che non solo non risolve i problemi reali, ma li aggrava. Il vandalismo non è una forma di lotta sociale, ma una manifestazione di un disagio che va affrontato con dialogo e proposte concrete. Smettere di accusare chi cerca di sfruttare le proprie risorse per migliorare la propria condizione economica è il primo passo per costruire un dibattito equilibrato, capace di proporre soluzioni che guardino alle radici del problema. Tanto più che tali atti rischiano di compromettere l’immagine dell’Italia come destinazione turistica accogliente e sicura, con possibili ripercussioni negative sull’intero comparto turistico e sull’economia nazionale.
Complice l’inflazione, il turismo in Italia ha assistito a un significativo incremento dei prezzi, soprattutto nel settore alberghiero. Tanto che il successo del turismo italiano, tanto sbandierato nelle statistiche, si fonda più sul fatturato che sugli arrivi. In molte città italiane, inoltre, i costi delle camere sono cresciuti a un ritmo ben superiore rispetto al resto d’Europa, quasi a prendere troppo alla lettera i suggerimenti che arrivano puntualmente nelle fiere di settore di puntare su questo animale mitologico che risponde al nome di “turista altospendente“. Una tendenza questa che, pur spingendo i fatturati nel breve, rischia poi di rivelarsi controproducente.
Già sappiamo che aumentare i prezzi senza un proporzionale miglioramento del servizio o dell’offerta non equivale a soddisfare le esigenze del turista con alta capacità di spesa. Quest’ultimo, infatti, non si definisce tanto per la capacità economica di pagare una cifra elevata, quanto per la disponibilità a investire in esperienze e servizi che considera davvero di valore. È una differenza sottile ma fondamentale.
Chi è quindi il turista altospendente?
Il turista altospendente non è semplicemente chi può permettersi di pagare prezzi alti. È colui che sceglie di farlo per ottenere qualcosa che lo appaga, che lo emoziona, che corrisponde ai suoi desideri profondi. Può trattarsi di un soggiorno in una villa storica immersa nel verde, di un’esperienza culinaria esclusiva con uno chef stellato o di un tour personalizzato in una destinazione fuori dai circuiti tradizionali, ma di questa opportunità in Italia ce ne sono a bizzeffe. Quanti invece possono invece realmente fregiarsi di un’offerta turistica unica?
In molti casi, il turista altospendente non è nemmeno chi ha grandi disponibilità economiche: l’acquisto è irrazionale e per qualcosa che viene considerato di valore si è spesso disposti a spendere oltre le proprie possibilità. Lo dimostra il successo dei sistemi di pagamento rateale “Buy Now, Pay Later” (BNPL): molte persone scelgono di dilazionare i pagamenti in tre o più rate pur di accedere a ciò che ritengono importante. Non è un caso se anche i settori del lusso, tradizionalmente associati a un pubblico facoltoso, stanno adottando questo approccio per allargare il proprio mercato. Anche questa però è una scelta pericolosa: le poche garanzie richieste per questo tipo di pagamenti già oltreoceano stanno creando una bolla, che cresce all’accumularsi di rate non pagate e che, prima o poi, scoppierà.
Prezzo e valore: un equilibrio necessario
La questione è che aumentare i prezzi senza aggiungere valore non solo rischia di allontanare i clienti, ma danneggia anche la reputazione delle destinazioni. Il turista che può spendere non è ingenuo: se percepisce che il costo non è giustificato dalla qualità del servizio o dell’esperienza, sarà meno incline a tornare o a raccomandare la destinazione. Anche se è una destinazione che si vende da sola, come Roma durante il Giubileo: la Capitale è davanti a un bivio tra il successo planetario e l’onta reputazionale di essere diventata una “tourist trap”.
Investire nella qualità dell’offerta significa, invece, puntare su autenticità, unicità e personalizzazione. Per un turista, pagare di più può avere senso solo se ciò che riceve in cambio non è replicabile altrove. Non basta una camera d’hotel più cara: occorre un servizio impeccabile, un’attenzione ai dettagli e un’esperienza che lasci il segno.
Costruire un’offerta per cui “non si badi a spese”
Per attrarre turisti altospendenti, occorre quindi cambiare prospettiva. Non si tratta di aumentare indiscriminatamente i prezzi, ma di costruire un’offerta che sia desiderabile al punto da spingere le persone a non badare a spese. Solo con un’offerta di qualità, che risponda a bisogni reali e profondi, si può attrarre quel pubblico disposto a investire nel turismo. È una sfida che richiede visione e capacità di innovare, ma che rappresenta l’unica strada per rendere sostenibile e competitivo il turismo italiano.
In un mondo in cui i viaggiatori cercano sempre più emozioni e autenticità, il prezzo è solo una parte dell’equazione. Ciò che davvero conta è il valore percepito: non basta una Porta Santa da attraversare per fare il miracolo.
Nell’era del turismo globale e del tanto declamato overtourism, le destinazioni minori guadagnano sempre più attenzione. Luoghi, spesso lontani dalle grandi città e dalle mete turistiche tradizionali, riescono ad offrire esperienze autentiche e una connessione più profonda con il territorio, centralità di uno dei segmenti turistici più in voga: il turismo esperienziale. Rappresentano indubbiamente un’alternativa al turismo di massa, rispondendo alla crescente domanda di esperienze uniche e autentiche, alla ricerca di tradizioni, alla cucina e ai paesaggi e a un disperato bisogno di ritorno alle forme e alle abitudini del passato, quando la ricerca di una “vita sana” non era pericolosamente compromessa dall’assiduo lavoro e dalla spasmodica corsa al denaro, questa soprattutto per una condizione di “status sociale”
Le destinazioni minori presentano un fascino originale che può essere valorizzato per attrarre differenti segmenti di turisti in cerca di esperienze autentiche e lontane dal turismo di massa. L’approccio non è assolutamente semplice e comunque non paragonabile all’abbondante “pesca” delle destinazioni famose ma certamente non impossibile, anzi. È necessario adottare strategie mirate e assolutamente innovative senza cadere nell’offerta stereotipata ed impersonale della maggior parte degli alberghi, incentrata su un’immagine di camera uniforme e “saponetta minuscola” dove ancora vige l’adagio “abbiamo sempre fatto così”.
Una buona amministrazione locale deve supportare lo sviluppo dell’area e scongiurare carenze quali ad esempio quelle legate ai trasporti o alle reti stradali inadeguate e ancor di più, l’implementazione di pratiche sostenibili per preservare il patrimonio naturale e culturale dell’area attraverso investimenti periodici oltre a sensibilizzare costantemente gli attori principali della filiera. Non bisogna dimenticare che la chiusura di una struttura alberghiera in una destinazione potenzialmente d’appeal sul mercato turistico, rappresenta una sconfitta per tutto il territorio con conseguente perdita di posti di lavoro e relativo spopolamento dell’area, soprattutto giovanile.
Lo sviluppo alberghiero nelle destinazioni minori è comunque un settore in piena crescita, ricco di opportunità per chi sa coglierle. Con una visione innovativa e una strategia ben pianificata, le strutture alberghiere possono diventare veri e propri motori di sviluppo per un auspicato aumento dei flussi verso le cosiddette destinazioni minori, una condizione che ha avuto negli ultimi anni una costante fase ascensionale che ha di fatto rigenerato intere zone a vocazione turistica con un trend alimentato fortemente dall’ultima e gravosa pandemia.
Personalmente sono stato testimone e fautore di questo passaggio grazie ai numerosi anni trascorsi di proposito, nella gestione di strutture alberghiere in località minori dove non esistono battute con “abbondante pesca” e tutto ciò che arriva è il risultato di sacrifici e di sinergie comuni con un’offerta creata unicamente grazie alle peculiarità del territorio e soprattutto dall’offerta alberghiera. Le destinazioni minori offrono spesso un patrimonio culturale, naturale e gastronomico unico ed è essenziale integrare queste caratteristiche nell’offerta dell’hotel anche attraverso la sinergia con stakeholder territoriali come gli organizzatori di eventi della tradizione locale o ancora, i narratori delle storie e della cultura locale quali guide turistiche o attori dello storytelling.
Bisogna sapersi ben differenziare per attrarre turisti! Un’identità forte e ben definita può fare la differenza a partire dalla struttura ricettiva, bisogna esaltare stili ed offerta in linea con il territorio e raccontare la storia dell’albergo e della comunità locale attraverso i social ed il sito web e ancor di più tramite l’ausilio di influencer. La visibilità online è cruciale per attirare turisti.
Altra leva di persuasione è il prezzo. Non capisco come ancora oggi vi sia una riluttanza da parte di alcuni alberghi a gestire prezzi in modo elastico e a offrire sconti in relazione al momento in cui avviene l’offerta perché una camera invenduta è una perdita economica proprio per la natura di non poter immagazzinare un prodotto turistico e venderlo successivamente. All’estremo opposto, mi dissocio dall’enorme orda di Guru che professa insperati successi di vendita unicamente dalla “stanza dei bottoni” coadiuvati da giovani adepti che colmi di fondamenti teorici, nella maggior parte dei casi non hanno vissuto esperienze sul campo. La gestione del “pricing” a mio avviso è una prerogativa che necessità di profonda conoscenza dei costi e del territorio di ubicazione oltre al posizionamento per offerta e qualità dei servizi della struttura in un’ipotetica classificazione a cura dei buyer. Questo mix è alla base del revenue management e risponde in modo efficace nella gestione del pricing, assumendo in alcuni casi una condizione di una “forbice ampia” tra prezzo minimo e prezzo massimo offerto ed estratto da tre grandi linee:
Prezzi basati sui costi (mark-up)
Prezzi relativi al valore percepito dal potenziale buyer
Prezzi relativi al territorio di ubicazione e alla stagionalità
Concludendo, attrarre turisti in alberghi situati in destinazioni minori richiede creatività, impegno e una visione strategica grazie a un buon mix di competenze ed esperienze vissute. Valorizzando il territorio, puntando sull’autenticità e sfruttando le opportunità offerte dal marketing digitale è possibile trasformare una destinazione poco conosciuta in un luogo ambito dai viaggiatori. In questo modo, la struttura non solo aumenterà la propria visibilità, ma contribuirà anche al rilancio economico e culturale della comunità locale.
In questi giorni si sta parlando molto dei dati diffusi dall’ultimo rapporto sul turismo di Google e Deloitte. In queste pagine se ne era già parlato in occasione dell’Hospitality Day quando Google li ha presentati in anteprima. Dato che di analisi ce ne sono già molte in giro, qui proviamo a fare un esercizio diverso, provando a usare l’AI dell’ultimo prodigioso software di casa Google, NotebookLM per fare alcuni esperimenti di sintesi di questi dati e di creazione di un podcast che ne parli.
Faccio una premessa: sono molto scettico su questi rapporti e li trovo molto spesso utilizzati allo scopo di corroborare tesi favorevoli agli autori, infarciti di stereotipi e che proiettano in un futuro prossimo venturo elucubrazioni difficilmente verificabili; la rappresentazione di un sogno, in definitiva. Ma c’è gente, anche titolata, che investe risorse per produrre documenti che, inevitabilmente, verranno citati, presi come riferimento e magari influenzeranno decisione di investimento, per cui stiamo al gioco (però mi piacerebbe che qualcuno ne prendesse di analoghi, elaborati alla fine dello scorso millennio, per verificare l’affidabilità delle previsioni).
Lo scopo dell’articolo però, come detto, è un altro: colta l’occasione della segnalazione del paper, scaricabile a questo link, “Viaggi 2040: 2,4 miliardi di motivi per guardare con entusiasmo al futuro del settore” , esaminato l’articolo e avendone letto i commenti da parte di valenti manager del digitale applicato al mondo del turismo, l’ho trattato, come da sperimentazioni in cui mi sono avventurato di recente, con NOTEBOOKLM by Google, interrogando l’applicazione di LLM secondo il mio stile.
Dà una sintesi con questo tenore
Questo documento, realizzato in collaborazione tra Deloitte, Google e Barcelò Group, analizza l’evoluzione del turismo dal 1990 al 2023 e fornisce una previsione del settore fino al 2040. Lo studio si basa su dati di diverse fonti, tra cui ricerche di mercato e analisi di Google sui comportamenti di ricerca dei turisti in 230 Paesi. L’obiettivo è di identificare i trend chiave che guideranno il settore turistico nei prossimi anni, analizzando l’evoluzione dei mercati di origine e delle destinazioni, nonché i profili dei viaggiatori e le loro preferenze. La ricerca identifica quattro modelli di comportamento dei viaggiatori, che si distinguono per il loro livello di esperienza di viaggio e le loro caratteristiche sociodemografiche. Il documento analizza inoltre l’impatto delle tecnologie digitali, dei cambiamenti sociali e degli aspetti ESG sul turismo, delineando le implicazioni strategiche per il settore. L’obiettivo finale è aiutare gli operatori del settore turistico ad anticipare e adattarsi alle tendenze future, per garantire il successo a lungo termine.
Ho provveduto a interrogare l’applicazione con queste richieste
Tendenze chiave nel turismo dal 2019 al 2040
Aumento dei viaggi in uscita: Si prevede che entro il 2040 il numero di viaggi in tutto il mondo continuerà ad aumentare fino a raggiungere circa 2.400 milioni, con un aumento di circa 936 milioni rispetto al 2019. Questo aumento sarà trainato principalmente dalla crescita della popolazione della classe media+, ovvero coloro che hanno un reddito sufficiente per effettuare viaggi internazionali almeno una volta ogni due anni.
Cambiamenti nei mercati di origine: mentre l’Europa e la regione Asia-Pacifico rappresenteranno ancora circa il 75% delle partenze in uscita, si prevede che l’Africa e le Americhe avranno il più alto tasso di crescita annuale dal 2019 al 2040. Si prevede inoltre che i primi 5 mercati di origine (Cina, Stati Uniti, India, Germania e Regno Unito) amplieranno la loro quota di mercato, raggiungendo il 42% entro il 2040. Tra i primi 15 paesi di origine emergeranno Pakistan, Brasile, Arabia Saudita, Indonesia e Messico.
Cambiamenti nelle destinazioni: si prevede che il Medio Oriente e l’Africa avranno il più alto tasso di crescita annuale degli arrivi in entrata dal 2019 al 2040. Tuttavia, l’Europa e la regione Asia-Pacifico rappresenteranno ancora circa il 75% del totale. Si prevede che le prime 5 destinazioni (Francia, Spagna, Stati Uniti, Italia e Tailandia) ridurranno la loro quota di mercato, raggiungendo il 20% entro il 2040. Tra le prime 15 destinazioni emergeranno Arabia Saudita, Indonesia ed Emirati Arabi Uniti.
Nuovi cluster di destinazioni: entro il 2040 circa il 45% dei viaggiatori globali si concentrerà in 4 cluster di destinazioni chiave: Mediterraneo, Sud-Est asiatico, Nuovo Medio Oriente e Caraibi. Questi cluster sono stati identificati in base alla loro combinazione unica di clima, risorse naturali, patrimonio culturale e posizione.
Interruzione tecnologica: le nuove tecnologie, come la traduzione in tempo reale, le esperienze virtuali e il Web 3, avranno un impatto significativo sul settore dei viaggi. Queste tecnologie consentiranno ai viaggiatori di essere sempre connessi, di scoprire nuove destinazioni e luoghi attraverso i social media e di vivere esperienze virtuali.
Maggiore attenzione alla sostenibilità: si prevede che i viaggiatori saranno sempre più attenti all’ambiente e al sociale. Ciò porterà allo sviluppo di modelli di turismo sostenibile che generino benefici economici e sociali nelle destinazioni.
Modelli di business flessibili: di fronte a situazioni impreviste come le crisi sanitarie, il settore dei viaggi dovrà adottare modelli di business flessibili in grado di adattarsi ai cambiamenti. Ciò richiederà alle aziende di essere in grado di reindirizzare rapidamente le proprie operazioni e di soddisfare le mutevoli esigenze dei viaggiatori.
Iper-personalizzazione: con l’aumento dei viaggi e la proliferazione delle esperienze di viaggio, le aziende dovranno concentrarsi sull’offerta di esperienze iper-personalizzate per differenziarsi dalla concorrenza e offrire un valore eccezionale ai viaggiatori. Ciò richiederà l’utilizzo di tecnologie avanzate per ottenere informazioni approfondite sui clienti e creare esperienze di viaggio personalizzate.
Implicazioni strategiche per gli operatori del settore turistico
Le fonti identificano tre leve chiave per gli operatori del settore turistico da considerare alla luce di queste tendenze: mercati, modelli di business e meccanismi.
Mercati: gli operatori del settore turistico dovranno adattarsi all’emergere di nuovi mercati di origine, all’interruzione tecnologica e all’aumento dei requisiti ESG. Ciò richiederà lo sviluppo di nuovi modi per interagire con i viaggiatori e di attirare nuovi mercati di origine.
Modelli di business: flessibilità, iper-personalizzazione e riorganizzazione del settore sono fattori cruciali da considerare per gli operatori del settore turistico. Ciò richiederà l’adozione di modelli di business flessibili, l’integrazione delle nuove tecnologie e la creazione di partnership strategiche per offrire esperienze di viaggio eccezionali.
Meccanismi: per operare in un settore in continua evoluzione, gli operatori del settore turistico dovranno comprendere i meccanismi di una forza lavoro in evoluzione, degli algoritmi e dei nuovi centri di gravità finanziaria. Ciò richiederà l’implementazione di meccanismi su misura per gestire i dipendenti in diverse regioni, l’automazione dei processi e l’adozione di nuovi modelli di business.
In generale, le fonti suggeriscono che il settore dei viaggi è in una fase di transizione significativa e che gli operatori del settore dovranno adattarsi a queste tendenze per avere successo in futuro.
Fattori Chiave per la Crescita dei Viaggi in Uscita Entro il 2040
Le fonti indicano diversi fattori chiave che stimoleranno la crescita dei viaggi in uscita a livello globale entro il 2040:
Espansione della Classe Media+: – L’aumento del numero di persone che appartengono alla classe media+, ovvero quelle con un reddito sufficiente per effettuare viaggi internazionali almeno ogni due anni, sarà il principale motore della crescita dei viaggi in uscita. – Le fonti prevedono che la dimensione della classe media mondiale continuerà ad aumentare, con un conseguente aumento del numero di viaggi in uscita. – Questo è evidenziato dalla forte correlazione tra l’evoluzione delle dimensioni della classe media e le partenze in uscita tra il 1995 e il 2040.
Crescita dei Mercati Emergenti: – I mercati emergenti, in particolare in Africa e nelle Americhe, registreranno i tassi di crescita annuale più elevati per le partenze in uscita dal 2019 al 2040. – Ciò è dovuto a diversi fattori, tra cui una rapida crescita economica, l’aumento del reddito disponibile e una maggiore propensione ai viaggi internazionali. – Ad esempio, si prevede che l’India diventerà uno dei principali mercati di origine, con circa 145 milioni di partenze previste nel 2040. – Anche Pakistan, Brasile, Arabia Saudita, Indonesia e Messico entreranno a far parte dei primi 15 mercati di origine.
Evoluzione delle Preferenze di Viaggio: – Si prevede che i viaggiatori saranno sempre più interessati a vivere esperienze uniche e memorabili, piuttosto che a semplici vacanze passive. – Ciò porterà a una maggiore domanda di destinazioni e attività che offrono autenticità, avventura e interazione culturale. – I cluster di destinazioni chiave, come il Mediterraneo, il Sud-est asiatico, il Nuovo Medio Oriente e i Caraibi, beneficeranno di questa tendenza. Queste destinazioni offrono una combinazione unica di attrattive, tra cui clima mite, risorse naturali, patrimonio culturale e posizione strategica.
Impatto della Tecnologia: – Le nuove tecnologie, come la traduzione in tempo reale, le esperienze virtuali e il Web 3, svolgeranno un ruolo fondamentale nel plasmare il futuro dei viaggi. – Queste tecnologie ridurranno le barriere per i viaggiatori provenienti dai mercati emergenti, consentendo loro di esplorare nuove destinazioni con maggiore facilità. – I social media e le esperienze virtuali faciliteranno la scoperta di nuove destinazioni e la pianificazione dei viaggi.
Maggiore Attenzione alla Sostenibilità: – La crescente consapevolezza ambientale e sociale tra i viaggiatori spingerà lo sviluppo di modelli di turismo sostenibile. – Le destinazioni che danno priorità alla sostenibilità e offrono esperienze rispettose dell’ambiente attireranno un numero crescente di viaggiatori. – Questa tendenza richiederà agli operatori del settore turistico di adattare i loro modelli di business e le loro pratiche per soddisfare le crescenti aspettative dei viaggiatori in materia di sostenibilità.
Cambiamenti nella Gerarchia delle Destinazioni Turistiche
Le fonti indicano che la gerarchia delle destinazioni turistiche subirà cambiamenti significativi tra il 2019 e il 2040. Mentre le destinazioni europee e dell’Asia-Pacifico continueranno a dominare il mercato, si prevede una crescita sostanziale in Medio Oriente, Africa e Americhe.
I motivi di questo cambiamento sono molteplici e interconnessi:
Emergere di nuovi mercati di origine: la crescita economica e l’aumento del reddito disponibile in Africa, Americhe e alcuni paesi asiatici come l’India porteranno a un’impennata dei viaggi in uscita da queste regioni. Di conseguenza, le destinazioni che si rivolgono a questi nuovi turisti, come il Medio Oriente e i Caraibi, ne trarranno beneficio.
Cambiamenti nelle preferenze di viaggio: la crescente domanda di esperienze autentiche e culturalmente immersive favorirà destinazioni meno tradizionali. Ad esempio, il “Novel Middle East”, con la sua miscela di storia antica, deserti mozzafiato e innovazione moderna, si prevede che attirerà un numero crescente di visitatori.
Impatto della tecnologia: la traduzione in tempo reale, le esperienze virtuali e il Web 3 renderanno i viaggi internazionali più accessibili a persone provenienti da diverse culture e con diverse lingue. Questo faciliterà la scoperta e l’esplorazione di destinazioni meno conosciute.
Maggiore attenzione alla sostenibilità: i viaggiatori sono sempre più consapevoli dell’impatto ambientale e sociale dei loro viaggi. Le destinazioni che promuovono il turismo sostenibile e offrono esperienze eco-compatibili avranno un vantaggio competitivo.
Analizzando i dati specifici:
Europa: pur mantenendo una posizione dominante, si prevede che la quota di mercato dell’Europa diminuirà leggermente. Tuttavia, alcune destinazioni europee, come quelle del Mediterraneo, continueranno a registrare una forte crescita grazie alla loro posizione geografica favorevole e alla ricca offerta culturale.
Asia-Pacifico: simile all’Europa, l’Asia-Pacifico manterrà una quota di mercato significativa, trainata dalla continua crescita del turismo in uscita dalla Cina e da altri paesi asiatici. Il Sud-Est asiatico, in particolare, si prevede che registrerà una forte crescita grazie alla sua diversità di paesaggi e siti patrimonio dell’umanità.
Medio Oriente: questa regione beneficerà enormemente dell’aumento dei viaggi in uscita da Africa e Asia. Il “Novel Middle East”, con la sua proposta unica, si prevede che diventerà un importante polo turistico.
Africa: pur partendo da una base più piccola, si prevede che l’Africa registrerà la crescita più rapida nel settore del turismo, sia in termini di viaggi in uscita che in entrata. La crescente classe media africana e l’interesse per il turismo culturale e naturalistico saranno i principali motori di questa crescita.
Americhe: le Americhe, in particolare i Caraibi, beneficeranno dell’aumento dei viaggi in uscita dal Nord America e dall’Europa. Le spiagge paradisiache, le città vivaci e le foreste pluviali lussureggianti continueranno ad attirare i turisti.
In conclusione, la gerarchia delle destinazioni turistiche è in continua evoluzione. Mentre le destinazioni consolidate in Europa e Asia-Pacifico si adattano alle nuove tendenze, destinazioni emergenti in Medio Oriente, Africa e Americhe si preparano a cogliere le opportunità offerte dalla crescita del turismo globale. I fattori chiave di questo cambiamento includono l’emergere di nuovi mercati di origine, l’evoluzione delle preferenze di viaggio, l’impatto della tecnologia e la crescente attenzione alla sostenibilità.
L’Italia come Destinazione Turistica nel Futuro: Un’Analisi
Le fonti offrono un’immagine sfaccettata del futuro dell’Italia come destinazione turistica. Pur rimanendo una delle mete più ambite, l’Italia dovrà affrontare diverse sfide e opportunità nei prossimi decenni.
Posizione Attuale e Tendenze Future:
L’Italia si posiziona tra le prime 5 destinazioni turistiche al mondo per arrivi nel 2019, con 64,5 milioni di visitatori.
Tuttavia, si prevede che la sua quota di mercato diminuirà leggermente entro il 2040, raggiungendo 90 milioni di arrivi e posizionandosi al 7° posto a livello mondiale.
Questa diminuzione relativa è in linea con la tendenza generale dell’Europa, che vedrà una leggera flessione della sua quota di mercato a fronte della crescita di altre regioni.
Fattori che Influenzeranno il Turismo in Italia:
Crescita dei Mercati Emergenti: L’ascesa di nuovi mercati di origine, come India, Pakistan, Brasile e Arabia Saudita, rappresenterà un’opportunità per l’Italia.
Cambiamenti nelle Preferenze di Viaggio: La crescente domanda di esperienze autentiche e immersive giocherà a favore dell’Italia, che vanta un ricco patrimonio culturale, paesaggi mozzafiato e una tradizione culinaria rinomata.
Competitività del Mediterraneo: L’Italia fa parte del cluster turistico del Mediterraneo, che include destinazioni come Spagna, Francia, Grecia e Turchia. Questo cluster si prevede che rimarrà tra i più popolari al mondo, grazie al clima mite, alle risorse naturali e al patrimonio culturale.
Sostenibilità: La crescente attenzione alla sostenibilità richiederà all’Italia di adattare la sua offerta turistica per soddisfare le aspettative dei viaggiatori più consapevoli.
Sfide e Opportunità:
Diversificazione dell’Offerta: L’Italia dovrà diversificare la sua offerta turistica per attrarre nuovi segmenti di viaggiatori, come quelli provenienti dai mercati emergenti, e rispondere alle nuove tendenze, come il turismo esperienziale e sostenibile.
Innovazione Tecnologica: L’adozione di nuove tecnologie, come la traduzione in tempo reale e le esperienze virtuali, sarà fondamentale per migliorare l’accessibilità e la promozione del turismo in Italia.
Sviluppo di Infrastrutture: Investimenti mirati in infrastrutture, come trasporti e alloggi, saranno necessari per garantire un’esperienza turistica di alta qualità e sostenibile.
Conclusione:
L’Italia ha il potenziale per rimanere una destinazione turistica di primaria importanza. Tuttavia, per affrontare le sfide future, sarà necessario adattare l’offerta turistica, investire nell’innovazione tecnologica e promuovere la sostenibilità. Sfruttando le sue risorse uniche e adattandosi alle nuove tendenze, l’Italia potrà continuare ad attrarre viaggiatori da tutto il mondo e consolidare la sua posizione nel panorama turistico globale.
Per esaurire l’attività ho quindi creato un podcast, come l’applicazione consente con le adeguate istruzioni, ascoltabile di seguito che sintetizza (in italiano!) il documento, non senza aggiungere la parte sull’Italia, che nel documento è assente. A questo punto la domanda è: la creazione delle note (i brani che vengono creati interrogando l’applicazione) influenzano il menabò del podcast? Sarà oggetto di un prossimo esperimento.
Siamo arrivati alla resa dei conti: le elezioni presidenziali americane del 2024 vedono Donald Trump e Kamala Harris competere per la guida degli USA da gennaio 2025 in un testa a testa che determinerà cambiamenti significativi non solo all’interno dei propri confini ma anche nel resto del mondo. Harris, attuale vicepresidente, rappresenta la continuità con l’amministrazione Biden, di cui ha condiviso ogni decisione politica, mentre Trump è già stato alla guida del Paese dal 2017 al 2021, portando avanti una politica “America First” che ha puntato al protezionismo e a un netto disimpegno dalle responsabilità internazionali.
Kamala Harris: la continuità con l’attuale amministrazione
Nonostante i toni della sua campagna, presentata con un nuovo slancio progressista, Kamala Harris rappresenta una continuità inevitabile con l’attuale amministrazione. La vicepresidente non ha mai realmente preso le distanze dalle linee guida di Joe Biden, condividendo approcci e visioni, soprattutto in ambito internazionale. Se da un lato promette un maggiore dialogo con gli alleati europei, dall’altro è difficile aspettarsi una vera discontinuità rispetto all’attuale politica estera americana, che, pur restando su una linea diplomatica, si è spesso limitata a interventi poco incisivi nei principali focolai di crisi, come l’Ucraina e il Medio Oriente. L’amministrazione Biden-Harris, pur adottando un linguaggio di apertura, non ha realizzato passi decisivi per fermare le escalation, preferendo mantenere un atteggiamento di cautela che finisce per lasciare irrisolti alcuni dei problemi più critici a livello globale.
Va invece riconosciuto che sotto Biden e Harris, gli Stati Uniti hanno cercato di abbattere le barriere burocratiche per favorire l’arrivo di visitatori internazionali. Dopo la crisi pandemica, che ha causato un rallentamento senza precedenti nelle emissioni di visti, il Dipartimento di Stato ha lavorato per ridurre i tempi di attesa per le richieste di visto. Nel 2023, è stato riportato il personale consolare ai livelli pre-pandemici e, attraverso l’esenzione per i colloqui di visto, sono state evase decine di migliaia di richieste ogni settimana tramite procedure a distanza. Grazie a questo approccio, gli Stati Uniti sono attualmente in linea per raggiungere l’obiettivo di 90 milioni di visitatori internazionali entro il 2026, con un anno di anticipo rispetto ai piani iniziali. Nel 2024, l’amministrazione ha rilasciato 11,5 milioni di visti, di cui 8,5 milioni per turismo, con un aumento del 10% rispetto al 2023. Questo aumento rappresenta un segnale importante per il settore, che spera in una continuità nelle politiche che facilitano l’ingresso di visitatori dall’estero.
Donald Trump: un ritorno che non sorprende
La candidatura di Donald Trump porta con sé l’ombra di una politica già vista all’opera. Con il suo programma “America First,” Trump ha spesso preferito un approccio isolazionista e una forte riduzione dell’impegno americano in molte aree del mondo, allontanandosi dagli alleati e mettendo in dubbio il ruolo degli Stati Uniti nelle alleanze storiche come la NATO. Sul fronte economico, minaccia di reintrodurre dazi sui prodotti europei, penalizzando le esportazioni e minando i rapporti commerciali transatlantici. La sua gestione è stata segnata da un continuo oscillare tra dichiarazioni provocatorie e minacce, che hanno avuto l’effetto di destabilizzare le relazioni con l’Europa e con altri partner strategici. Se Trump dovesse vincere, si prospetta una replica di questo approccio: un orientamento deciso verso il disimpegno internazionale, con l’effetto di lasciare i nodi irrisolti in quelle che sono ormai diventate vere e proprie polveriere mondiali.
A questo bisogna aggiungere che durante l’amministrazione Trump, l’accesso agli Stati Uniti era stato reso più complesso, con una netta diminuzione delle concessioni di visto anche prima della pandemia. Questo atteggiamento ha portato a un calo nel numero di visitatori internazionali, scesi a 79,4 milioni nel 2019, una leggera diminuzione rispetto agli anni precedenti. Uno dei provvedimenti più controversi di Trump è stato il “travel ban” del 2017, che ha bloccato l’ingresso ai cittadini di Paesi come Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen. Anche se queste nazioni non figuravano tra i principali mercati di provenienza dei turisti per gli Stati Uniti, il travel ban ha avuto un impatto simbolico, contribuendo a una percezione negativa dell’accessibilità del Paese.
Implicazioni per il turismo europeo
L’industria turistica europea è strettamente legata ai flussi di visitatori provenienti dagli Stati Uniti che sono oggi i principali clienti dell’UE, visto il blocco verso la Russia e la lenta ripresa dei flussi con la Cina. Le politiche adottate dal futuro presidente americano potrebbero influenzare questi flussi in vari modi:
Politiche di viaggio e sicurezza: Un’amministrazione Harris potrebbe promuovere accordi internazionali che facilitino i viaggi transatlantici, implementando misure coordinate e standardizzate. Al contrario, una presidenza Trump potrebbe introdurre restrizioni più severe, in linea con una visione più protezionista, rendendo i viaggi verso l’Europa meno agevoli per i cittadini americani.
Relazioni transatlantiche: Harris ha espresso l’intenzione di rafforzare le relazioni con l’Unione Europea, il che potrebbe tradursi in iniziative congiunte per promuovere il turismo e facilitare gli scambi culturali. Trump, invece, ha spesso adottato una posizione critica nei confronti dell’UE, il che potrebbe portare a tensioni diplomatiche e a una diminuzione della cooperazione nel settore turistico.
Politiche economiche e cambi valutari: Le decisioni economiche del prossimo presidente influenzeranno il tasso di cambio tra dollaro ed euro. Una politica fiscale espansiva potrebbe indebolire il dollaro, rendendo i viaggi in Europa più accessibili per gli americani. Al contrario, politiche restrittive potrebbero rafforzare il dollaro, rendendo l’Europa una destinazione più costosa e potenzialmente riducendo il numero di turisti statunitensi.
Differenze nei rapporti con il settore travel
Biden e Harris hanno adottato un approccio più rigido nelle regolamentazioni per le compagnie aeree, respingendo la fusione tra JetBlue e Spirit Airlines e disapprovando l’alleanza di JetBlue con American Airlines. Hanno inoltre imposto nuove regole a tutela dei consumatori, tra cui l’obbligo di rimborsi automatici e una maggiore trasparenza sui prezzi, un regolamento che l’amministrazione Trump, focalizzata sulla riduzione delle normative, aveva eliminato. Il Dipartimento dei Trasporti ha inoltre sanzionato Southwest e American Airlines per milioni di dollari per violazioni che riguardavano la gestione dei disabili e l’interruzione dei servizi. L’approccio di Trump, più orientato alla deregolamentazione, a suo tempo ha sicuramente favorito le grandi aziende, mentre Biden e Harris hanno mostrato una maggiore attenzione al consumatore finale, intervenendo anche sulle cosiddette “junk fees”, le tariffe poco trasparenti spesso applicate dagli hotel e dalle compagnie di affitto a breve termine.
L’impatto per l’Europa e per il turismo
Gli operatori turistici americani con cui ho parlato si mostrano poco inclini a favorire un ritorno di Trump. Le sue politiche hanno ridotto i flussi turistici e creato incertezza per le collaborazioni internazionali; tuttavia, il sentire comune è che anche che una vittoria di Harris non cambierà molto nell’atteggiamento degli Stati Uniti sulle questioni internazionali. L’Europa, ad esempio, continuerà a fare affidamento sulla stabilità interna per attrarre turisti americani, che cercano destinazioni sicure e culturalmente interessanti, ma resta vulnerabile agli effetti di una politica americana che non prende decisioni nelle aree di crisi. Il conflitto in Ucraina e la tensione crescente in Medio Oriente sono situazioni che, se non risolte, non solo influenzeranno i flussi turistici, ma condizioneranno l’economia e la percezione di sicurezza delle regioni vicine, con rischi crescenti di escalation poco desiderabili.
Un cambio di presidente cambierà davvero qualcosa?
Al di là delle parole di apertura e delle promesse elettorali, rimane difficile credere che un cambiamento di presidente porterà a un approccio più diplomatico e risolutivo sui principali scenari di crisi globale. L’impegno degli Stati Uniti, indipendentemente dal vincitore, sembra orientato a una politica di interesse, più attenta alle dinamiche interne che a una reale stabilizzazione internazionale. Quindi sicuramente lavoreranno per rendere il proprio paese più attrattivo per i turisti, ma nello scenario internazionale non sembra che la diplomazia sia loro arma migliore. Harris potrà vantare una retorica di cooperazione e inclusione, ma il fatto di aver condiviso ogni passo dell’amministrazione Biden lascia ben pochi margini per un reale cambio di direzione. Trump, invece, ha già mostrato il volto di una politica diretta e, spesso, destabilizzante, con scarse attenzioni per le dinamiche diplomatiche.
Secondo quanto riportato dal Financial Times e da altre testate finanziarie, Uber starebbe esplorando la possibilità di acquisire Expedia, una delle principali piattaforme di prenotazione viaggi, in un’operazione del valore di 20 miliardi di dollari che, se realizzata, potrebbe avere un forte impatto sul mercato dei servizi digitali. Questa acquisizione farebbe parte della strategia di Uber di diventare una “super app”, integrando non solo servizi di trasporto e consegna, ma anche di viaggio e turismo, come fra l’altro la società ha già realizzato con servizi come Uber Boat o Uber Safari. Sebbene non ci siano ancora negoziazioni ufficiali, e nessuna dichiarazione delle parti in causa, la notizia di un possibile accordo ha già influenzato i mercati: le azioni di Expedia sono aumentate del 5%, mentre quelle di Uber hanno subito un lieve calo dell’1,5% dopo la diffusione delle voci di acquisizione. L’operazione è sicuramente possibile, avendo Uber una capitalizzazione in Borsa di 167 miliardi contro i circa 20 di Expedia. Per la cronaca Dara Khosrowshahi, attuale CEO di Uber, è stato in passato amministratore delegato di Expedia (dal 2005 al 2017) e continua a far parte del suo consiglio di amministrazione.
Dal punto di vista strategico, l’acquisizione di Expedia rafforzerebbe Uber, creando un nuovo colosso nel settore dei servizi digitali integrati, combinando mobilità, trasporti e prenotazioni di viaggi. Questa fusione permetterebbe a Uber di posizionarsi non solo come leader nei trasporti on-demand, ma anche nel settore turistico, mettendo pressione su concorrenti come Priceline (proprietario di Booking.com) che non offre servizi di mobilità, se non il noleggio auto tramite aziende partner e potrebbe vedere minacciata la sua leadership di mercato.
L’integrazione di Uber con Expedia comporterebbe infatti la creazione di sinergie uniche, come la possibilità di offrire pacchetti combinati di trasporto e alloggio in un’unica piattaforma. Questo darebbe ad Uber un vantaggio competitivo che Booking, pur dominando nel settore delle prenotazioni, non possiede nella mobilità. Anche Airbnb potrebbe risentirne, dato che Expedia possiede già Vrbo, una delle principali piattaforme di affitti a breve termine. La possibilità di integrare le soluzioni di trasporto offerte da Uber con le sistemazioni di Vrbo potrebbe essere una minaccia al business model di Airbnb, che pur basandosi sull’esperienza completa del viaggio, non ha un’infrastruttura di mobilità.
A livello di sinergie, Uber avrebbe molteplici opportunità per sfruttare i vantaggi dell’acquisizione di Expedia. Tra le principali:
Integrazione dei servizi: La combinazione dei servizi di prenotazione di hotel e voli con il ridesharing e la consegna di cibo di Uber offrirebbe agli utenti un’esperienza seamless. Uber potrebbe diventare un’unica piattaforma in cui i viaggiatori possono prenotare tutto, dal trasporto locale all’alloggio alla cena, migliorando la fidelizzazione dei clienti (Anche se in Italia Uber Eats ha chiuso i battenti).
Aumento della clientela e diversificazione delle entrate: Uber, già utilizzata da milioni di persone a livello globale, potrebbe attrarre nuovi clienti dalla base utenti di Expedia. Inoltre, questo consolidamento potrebbe diversificare le fonti di reddito, riducendo la dipendenza di Uber dal settore del ridesharing, particolarmente vulnerabile a dinamiche regolatorie e di concorrenza.
Tecnologia e dati: L’accesso ai dati sui viaggiatori di Expedia fornirebbe a Uber un patrimonio informativo prezioso, potenziando le sue capacità di personalizzazione e marketing mirato. Inoltre, l’integrazione delle tecnologie di Expedia potrebbe migliorare le capacità di gestione delle prenotazioni e ottimizzare l’interfaccia utente della super app.
Se avvenisse la fusione è probabile che i principali competitor non starebbero a guardare e potrebbero nell’ordine:
Cercare nuove alleanze con operatori di trasporto o di servizi di mobilità, oppure rafforzare partnership esistenti con piattaforme di prenotazione o compagnie aeree.
Spingere ulteriormente sulla personalizzazione delle esperienze locali o esplorare l’acquisizione di startup di mobilità per competere più direttamente con il modello integrato di Uber.
Valutare fusioni di simile portata con altre società per accrescere la loro capacità di offrire servizi più completi e differenziati.