Comunità, ecosistemi e saperi. L’equilibrio di tre pilastri determinanti per la vivibilità sulla Terra trova un nuovo punto d’appoggio in Kel 12 Foundation, ente filantropico che il tour operator milanese mette oggi in campo per rispondere alle sfide del cambiamento climatico attraverso progetti socio-ambientali.

Kel 12 ha sempre creduto che il viaggio sia un’occasione non solo per allargare la propria visione del mondo ma anche un’opportunità per creare relazioni virtuose tra persone e territori.
La fondazione è, infatti, stata istituita per dare continuità e supporto a tutte le iniziative benefiche intraprese dall’operatore nel corso degli anni.

“La relazione è il concetto chiave che ci ha spinto a dar vita alla fondazione – spiega Piergianni Addis, presidente di Kel 12 Foundation, che siede in consiglio di amministrazione insieme a Paola Delmonte (una delle protagoniste del settore del social housing in Italia, già direttrice della Fondazione Housing Sociale) e Cristina Motta (Chief Transformation & Organization Officer di Intesa San Paolo e già consigliere di amministrazione della Fondazione Intesa San Paolo Ente Filantropico) – desiderando promuovere progetti dagli impatti positivi attraverso cui connettere viaggiatori e ambienti. Grazie alle competenze ecologiche, sociali ed etnografiche acquisite sul campo, insieme siamo infatti in grado di creare opportunità che accrescano la capacità di resilienza delle comunità più a rischio, ma anche la conservazione il ripristino dei territori”.

IL PRIMO PROGETTO A 3.600 METRI DI QUOTA

Primo esempio è il progetto “Water & Beyond” in Ladakh, una delle regioni più remote e fragili dell’India nord-occidentale. Ideato da Angelica Pastorella, Dottoressa Magistrale in Antropologia Culturale, Etnologia ed Etnolinguistica che lavora come Sustainability Project Manager di Kel 12, il piano d’intervento accende i riflettori sull’arida valle dello Zanskar. La regione Himalayana è alimentata in via quasi esclusiva da acque prodotte dal discioglimento della neve e dei ghiacciai, non potendo contare su altre sorgenti o piogge stagionali. Costruiti in quota, i monasteri buddhisti finiscono così per essere alla mercé di riserve idriche sempre più ridotte e difficilmente compensabili mediante canalizzazioni, a causa del notevole dislivello rispetto ai fiumi a valle.

Il progetto mira a costruire un sistema di approvvigionamento idrico, un monastero femminile e una scuola elementare per novizie, offrendo un’opportunità educativa fondamentale per le ragazze della regione, oggi costrette a viaggi di oltre 500 km per studiare. In un’area dove le scuole monastiche non ricevono supporto governativo, l’iniziativa promuove l’uso di materiali locali, energie rinnovabili e tecnologie sostenibili per affrontare le sfide climatiche. Inoltre, un sistema idrico a energia solare garantirà l’autosufficienza del monastero e contribuirà a preservarne la cultura indigena e la sostenibilità ambientale.

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