Quando entri in un hotel, che sia un boutique hotel di lusso a Roma, un resort affacciato sulla spiaggia di Gaeta o un business hotel nel centro di Milano, la prima cosa che percepisci è l’armonia. Un saluto cordiale al check-in, una stanza perfettamente pulita, un profumo sottile nell’aria, un sorriso gentile al buffet della colazione. È la facciata elegante di un’industria che vive di dettagli ma che spesso nasconde dietro le quinte una realtà fatta di sacrificio, turni massacranti, vite spezzate in mille fusi orari emotivi.
Questo è un viaggio immaginario ma vero nel backstage dell’Ospitalità dove le storie non sono scritte nei dépliant ma nella pelle e nella memoria di chi lavora ogni giorno per rendere il soggiorno altrui una parentesi perfetta. Ho cercato di dare un volto e una storia immaginaria ma veritiera, alle mille storie alle quali ho assistito e ascoltato nei tanti anni di vita professionale. Tutte uguali e votate al sacrificio più immane, un atto di rinuncia spesso compiuto per un “amore infinito” verso una professione dove la perdita di qualcosa di prezioso, come il tempo e gli affetti cari è scontata!
Giovanni ha 54 anni e da 35 lavora in cucina. “Non ho mai fatto una Pasqua con mia moglie. Natale? A volte ci vediamo per un caffè il 26 pomeriggio”, dice sorridendo mentre accende la cappa e affila il coltello. Lavora in un hotel a cinque stelle a Taormina, dove la vista è poesia, ma la cucina è guerra: inizia alle 6, finisce alle 23. Le pause sono una chimera. “La parte più dura non è cucinare per 120/150 coperti, ma stare sempre in piedi, con il sorriso che devi cucirti addosso anche se hai il ginocchio a pezzi e non parli con tuo figlio da tre settimane.” Gli chef degli hotel non sono quelli dei reality show, sono soldati e vivono dentro celle frigorifere d’estate e in una sauna d’inverno, hanno il viso segnato dal vapore e le mani bruciate dall’olio. “A fine stagione ci si guarda in faccia e non ci si riconosce”, aggiunge, eppure, Giovanni torna ogni anno “perché un Ospite che ti dice grazie per quel risotto, te lo porti dentro fino all’inverno.”
Elisa ha 29 anni, lavora in un hotel a Roma, a due passi da via Veneto. Laurea in lingue, master in hospitality, parla quattro lingue fluentemente. “Ma qui devi parlare soprattutto il linguaggio della pazienza”, dice. Turni anche di notte, clienti arroganti, viaggiatori distratti, manager che pretendono l’impossibile. “Una volta ho trovato una coppia tedesca che piangeva in reception: avevano perso il portafoglio. Gli ho pagato il taxi di tasca mia.” La reception è l’epicentro emotivo di un hotel, Elisa sorride quando arriva il pullman dei giapponesi alle 22, anche se è lì dalle 7 del mattino. “Una volta una signora anziana si è persa in città, ha chiamato in lacrime, sono uscita io, a piedi, e l’ho riportata indietro.” Di queste cose non si scrive nei report di brand reputation eppure sono la vera essenza dell’accoglienza. Dietro ogni sorriso c’è una stanchezza sopita, un fidanzato lasciato, una madre che vive lontana. “A volte mi sento un’attrice sul palco, ma quel palco è casa mia, ma mi piace pensare che sto aiutando qualcuno a sentirsi accolto.” C’è un’intera umanità che lavora mentre gli altri escono a fare colazione: sono le cameriere ai piani, oggi chiamate “governanti” per rispetto, anche se il rispetto spesso resta solo sulla carta.
Maria viene da Quito, Ecuador. Lavora in un grande hotel sul litorale laziale, pulisce 18 camere al giorno, “che poi sono 20 perché il gruppo francese arriva in anticipo. “Non c’è ascensore di servizio, si fanno le scale con carrelli da 40 kg. ho avuto due ernie, ma se dici che stai male, ti cambiano con un’altra. Molte cameriere non sono in regola, alcune vengono da cooperative che le “affittano” agli hotel, con contratti da brividi. Noi siamo come le formiche, lavoriamo senza far rumore, senza sporcare, senza fermarci, ma se smettiamo, tutto si ferma” Le loro mani sono veloci, le gambe gonfie, i cuori lontani. “Mio figlio ha 9 anni, è in Colombia, gli mando vocali la sera mentre piego gli asciugamani.” Le governanti sono le vere registe della qualità alberghiera eppure, i Clienti spesso non sanno neppure che esistono.
Andrea lavora in un hotel di lusso di Amalfi è barman da 15 anni e ha il dono raro dell’ascolto. “In un bar d’albergo la gente si confessa. C’è chi racconta la sua infelicità, chi la sua infedeltà, chi brinda a un figlio appena nato o a un divorzio appena firmato. Il bancone è una specie di confessionale laico! Una volta un Cliente tedesco veniva ogni sera e beveva lo stesso cocktail guardando il mare, dopo una settimana mi ha detto che veniva lì per sentire la voce di sua moglie, morta da poco. Diceva che il mare parlava.” Andrea lavora dalle 17 alle 2, a volte anche di più, nessuna domenica libera da aprile a ottobre ma ogni bicchiere versato è un gesto d’amore e ogni brindisi è un ponte tra mondi. Quando esce dal lavoro, la città dorme, i suoi amici che non riesce mai a vedere, hanno vite “normali”. Lui vive tra shaker e parole non dette!
Aldo ha 61 anni, ha fatto il portiere di notte per 40. “Vedi passare la vita, come nei film, ma sei tu, fermo, che guardi il tempo correre.” Lavora in un albergo quattro stelle a Roma dice che la notte è la vera prova dell’accoglienza. “Se c’è un’emergenza, sei solo. Una volta ho salvato la vita ad un Cliente in preda a un attacco cardiaco, grazie al corso di primo soccorso a cui annualmente partecipo: si era sentito male proprio davanti la reception. Ancora oggi mi scrive messaggi di infinite grazie” Il portiere di notte conosce tutto: le scappatelle, i pianti nei corridoi, le solitudini che si travestono da vacanze. “A volte accendo la musica a basso volume nella hall, metto il “Notturno” di Chopin così sembra che anche l’hotel dorma con me.” La vita degli stagionali invece è una vera e propria corsa a ostacoli.
Marco ha 24 anni e lavora nei villaggi turistici da quando ne ha 19. “Sei pagato per far sorridere, anche se dormi 4 ore e mangi al volo. Animatore, cameriere, addetto alle escursioni, facciamo tutto ma a settembre scompariamo nel senso che nessuno si ricorda più di noi. Molti vivono in alloggi condivisi, spesso arrangiati, lontani dagli standard dell’hotel in cui lavorano, alimentiamo in modo preponderante il fatturato della struttura e nemmeno un grazie a fine stagione” Eppure, Marco sogna di aprire un piccolo B&B “per far sentire gli Ospiti ben accolti, come io non mi sono mai sentito” Dietro ogni stanza perfetta c’è una governante che ha stretto i denti per non cedere alla stanchezza, dietro ogni cocktail c’è un barman che sa ascoltare più di uno psicologo, dietro ogni pasto servito c’è uno chef che ha sacrificato metà della sua vita.
L’hotel è un organismo vivente e il suo battito viene da queste persone invisibili. La retorica dell’ospitalità spesso parla di brand reputation, di customer journey ma la verità è che un hotel vive soprattutto “per il cuore” di chi ci lavora e il futuro del settore, se vuole essere davvero sostenibile, non può prescindere dal riconoscimento di questo capitale umano. Bisognerebbe raccontarli di più questi volti, farli uscire dall’anonimato dando loro la parola e metterli in prima pagina accanto alle stelle dell’hotel perché le vere stelle sono loro: uomini e donne che ogni giorno dietro le quinte, rendono il mondo dell’accoglienza un posto dove sentirsi, finalmente a casa.