In questi tempi segnati da tensioni internazionali, escalation militari, attacchi terroristici e minacce più sfumate ma ugualmente inquietanti, la paura torna ad affacciarsi con forza nel mondo dei viaggi. Non è una novità: il turismo, più di ogni altro settore, è sensibile all’instabilità. A cambiare però è il modo in cui questa paura si manifesta e soprattutto come viene (o dovrebbe essere) gestita.
In queste ore sentiamo chi vuole cancellare una vacanza per una notizia letta, chi esita di fronte a una meta lontana per via di un conflitto, anche se a diverse centinaia di chilometri di distanza, chi teme di trovarsi “nel posto sbagliato al momento sbagliato”, anche dove nessuna autorità ufficiale segnala un pericolo concreto. La Farnesina ovviamente non ha emesso alcuno sconsiglio, le compagnie aeree volano regolarmente (o quasi), le assicurazioni coprono. Eppure il cliente ha paura. Perché ci sono chiusure di spazi aerei, ritardi, contrattempi, quasi sempre fatti proprio per la sicurezza, ma che aumentano la percezione contraria. E spesso il settore turistico non sa come reagire.
Il problema è che troppo spesso si prova a rispondere alla paura con strumenti razionali: si citano le policy, si ricordano le penali, si puntualizza che non ci sono zone vietate, si invita a “stare tranquilli”. Ma la paura non è razionale. È una reazione emotiva. Negarla o minimizzarla non solo è inefficace, ma rischia di compromettere il rapporto di fiducia tra cliente e agente di viaggio, tra turista e tour operator. La paura non va scacciata con le parole, ma gestita con l’ascolto.
Ogni paura, infatti, ha una sua radice. C’è chi teme per la propria sicurezza fisica, chi ha vissuto esperienze personali che rendono certi scenari troppo angoscianti, chi teme di perdere soldi e tempo, chi semplicemente sente di non potersi rilassare in un clima incerto. Capire che tipo di paura muove il cliente è il primo passo per accompagnarlo, non per convincerlo.
Per i viaggi già prenotati, è essenziale mantenere una comunicazione aperta. In certi casi, si potrà rassicurare con informazioni aggiornate e fonti autorevoli, in altri si potrà offrire flessibilità, soluzioni alternative, possibilità di posticipare. L’empatia, in questi frangenti, vale più di ogni schema commerciale. Meglio ancora una buona assicurazione acquistata prima di partire: avere delle opzioni di annullamento e posticipo è il miglior investimento che si possa fare e una grande arma a disposizione degli intermediari di viaggi.
Per i viaggi che si stanno progettando si possono proporre opzioni diversificate, itinerari alternativi, magari in zone più stabili ma ugualmente ricche di fascino. Il mondo è grande, e l’esperienza del viaggio non si riduce a un’unica destinazione. Più complicato forse gestire gli scali in medio oriente, spesso non ci sono alternative per raggiungere alcuni posti, possiamo però almeno stilare alcuni suggerimenti operativi per chi lavora nel settore:
- Ascoltare attivamente il cliente, senza interrompere, senza giudicare, senza tentare di “convincere” subito.
- Chiedere chiaramente quale sia la natura della sua paura: teme un attentato? Un attacco militare? La perdita economica? L’instabilità politica?
- Differenziare le risposte: se la paura è perdere soldi, consigliare assicurazioni più estese, o formule flessibili di prenotazione. Se la paura è per la propria sicurezza, proporre mete alternative con profilo di rischio più basso.
- Evitare di citare la Farnesina come unico criterio: per molti clienti, la percezione conta più della valutazione ufficiale.
- Allenare anche lo staff alla gestione emotiva: la formazione degli agenti deve includere anche elementi di comunicazione empatica e gestione del cliente ansioso.
- Rendere la flessibilità un punto di forza, non un’eccezione concessa con fatica.
Infine, non va dimenticato che l’incertezza globale è oggi una costante. I viaggiatori che si sentono ascoltati, compresi e supportati torneranno a viaggiare. Magari non subito, magari non ovunque, ma con fiducia. E questa fiducia è il bene più prezioso da coltivare.