C’è un’Italia che riluce d’oro e d’azzurro, un’Italia che investe, rinasce, e si trasforma sotto le insegne scintillanti di nuovi hotel a cinque stelle. Dalle spiagge della Versilia alle calette segrete del Salento, passando per la Riviera ligure, il litorale campano e la Sardegna, le località balneari italiane stanno vivendo una nuova stagione di metamorfosi turistica.
La miccia? Gli investimenti nel comparto del lusso, sempre più mirati, selettivi e legati a esperienze ad alto valore aggiunto.
Nel corso dell’ultimo biennio, si è assistito a un autentico boom di acquisizioni e ristrutturazioni nel comparto dell’hotellerie di fascia alta. Secondo uno studio recente condotto da EY e Confindustria Alberghi, oltre il 60% degli investimenti nel settore ricettivo è stato destinato a strutture di categoria 4 e 5 stelle, con una predilezione per location marittime, spesso in territori finora poco battuti dal turismo d’élite.
Non si tratta solo delle solite destinazioni da cartolina. Se Capri e Portofino continuano a brillare, oggi anche città come Gaeta, Maratea, Otranto, Cefalù, Alghero, Cagliari, Vieste e San Felice Circeo si ritrovano protagoniste di un processo di riposizionamento: da “meta balneare di medio profilo” a “destinazione esperienziale di alta gamma”.
Il capitale arriva da fondi internazionali, gruppi alberghieri globali, family office italiani e persino imprenditori locali che, stanchi di una stagione turistica compressa e povera di marginalità, decidono di rilanciare puntando sull’esclusività.
Il gruppo LVMH, ad esempio, ha annunciato l’apertura di nuove strutture della collezione Cheval Blanc lungo la costa tirrenica. Four Seasons ha messo gli occhi su strutture storiche da riconvertire mentre Bulgari Hotels & Resorts e Mandarin Oriental si contendono alcune perle della costiera amalfitana. Il fondo statunitense Oaktree ha investito pesantemente nel restyling di resort a Villasimius e nella zona del Golfo di Orosei.
Questi operatori non acquistano “solo hotel”, acquistano territorio, identità, narrazione. L’elemento mare, infatti, non è più sufficiente, serve una dimensione narrativa forte: borgo, storia, enogastronomia, accesso esclusivo, e una regia del servizio che elevi ogni soggiorno a esperienza.
Non è tutto oro quel che luccica: se da un lato questi investimenti portano lavoro, riqualificazione urbana, innalzamento della qualità media del servizio e destagionalizzazione, dall’altro rischiano di modificare in profondità l’identità delle località costiere.
La gentrificazione turistica è già visibile in alcune zone della Puglia, della Sardegna e della Sicilia. Case vacanza e hotel boutique acquistati da società estere stanno rendendo difficile per gli abitanti del posto restare nei propri centri storici, in parallelo, i prezzi di ristoranti, stabilimenti balneari e servizi crescono, segmentando il pubblico e mettendo in crisi la fascia media del turismo domestico.
E ancora: la corsa al lusso rischia di schiacciare le piccole strutture ricettive, quelle che hanno tenuto in piedi l’economia del turismo locale per decenni, molti B&B e piccoli hotel familiari si trovano oggi costretti ad alzare l’asticella o a uscire dal mercato.
Il nodo cruciale, per chi opera nel settore e per le amministrazioni locali, è proprio qui: saper attrarre investimenti senza tradire il genius loci, il lusso deve diventare un ponte, non un recinto, deve offrire esperienze alte, sì, ma legate a ciò che il territorio è davvero, come prodotti locali, artigianato, comunità, natura.
L’esempio virtuoso arriva da alcuni resort in Calabria e Basilicata che, attraverso protocolli con le comunità locali, integrano nei loro pacchetti visite a cantine, frantoi, laboratori artigiani, percorsi naturalistici e momenti di autentico scambio culturale.
L’ingresso del lusso ha aperto anche una nuova domanda di professionalità nel comparto, le strutture di fascia alta richiedono profili formati, multilingue, capaci di narrare, oltre che servire. Cresce la richiesta di concierge esperienziali, sommelier del territorio, personal butler, e destination manager che sappiano costruire relazioni tra hotel, operatori, enti pubblici e privati.
E qui torna il tema della formazione: i territori che vogliono davvero attrarre turismo di qualità devono investire su scuole alberghiere, ITS turistici e percorsi formativi legati alle nuove professioni del lusso e dell’esperienza. Per non restare spettatori passivi, le località costiere devono dotarsi di piani strategici non basta accogliere un fondo o un gruppo alberghiero, bisogna prevedere impatti, orientare i flussi, creare tavoli di lavoro permanenti tra istituzioni, imprenditori e residenti.
La regia politica deve garantire equilibrio in quanto un turismo di fascia alta può e deve coesistere con quello familiare, quello culturale, quello scolastico a patto che si pianifichi che si mettano in campo strumenti urbanistici, incentivi alla riqualificazione delle strutture esistenti, promozione internazionale mirata e comunicazione integrata tra pubblico e privato.
Gli investimenti nel lusso stanno, di fatto, ridisegnando l’Italia delle vacanze e se ben gestiti, questi processi possono rappresentare un’occasione straordinaria per emancipare destinazioni storicamente “sottostimate”, diversificare l’offerta, aumentare i margini economici e valorizzare le eccellenze locali.
Ma serve consapevolezza, serve progettualità e serve anche un’etica dell’ospitalità che metta al centro non solo il Cliente, ma il territorio e chi lo abita, il rischio altrimenti, è di creare paradisi dorati circondati da deserti sociali. L’obiettivo, invece, dev’essere costruire un modello italiano di ospitalità balneare di lusso che non dimentichi mai la sua anima più profonda: quella dell’accoglienza, della bellezza e della condivisione.