Il caso delle due ragazze americane che volevano andare a Nizza e sono finite a Tunisi per un malinteso linguistico è diventato in poche ore un video virale su TikTok. Per loro un errore tragicomico, per milioni di utenti un contenuto da condividere con leggerezza. Nessuno si è chiesto quanto sia pericoloso affidare la pianificazione di un viaggio al passaparola online o a un’informazione ridotta a meme. In pochi hanno sottolineato che il turismo, quando attraversato da episodi del genere, rischia di pagare un conto salato in termini di reputazione e credibilità.
Non è un caso isolato. Un’altra vicenda emblematica arriva da Portorico, dove un’influencer è stata respinta all’imbarco perché priva dell’autorizzazione ESTA. Sosteneva che ChatGPT le avesse detto che non serviva alcun visto. Col paradosso che ChatGPT aveva anche ragione: l’ESTA, di recente aumentato a 40 dollari, è un’autorizzazione all’ingresso negli USA per motivi turistici alternativa al visto. Il video delle lacrime in aeroporto ha comunque raccolto milioni di visualizzazioni, senza che quasi nessuno ricordasse che la responsabilità di verificare i requisiti d’ingresso resta sempre del viaggiatore, attraverso fonti ufficiali o rivolgendosi a dei professionisti, se non si è in grado.
In Italia, poi, vanno di moda le indignazioni virali, dal mancato animatore andato via dall’hotel al primo giorno di lavoro perché aveva ricevuto una camera con la muffa e veniva pagato poco: si scoprirà che non era la sua camera e il contratto rispettava il minimo sindacale. Così come continuano a fare il giro del web gli scontrini pubblicati da turisti con cifre gonfiate, servizi inaspettati a pagamento o presunte truffe che finiscono per danneggiare l’immagine di intere destinazioni con informazioni non contestualizzate.
Questi episodi hanno un filo comune: l’uso dei social come fonte primaria d’informazione. Per le nuove generazioni TikTok, Instagram e YouTube non sono più semplici piattaforme di intrattenimento, ma veri e propri motori di ricerca. Il problema è che senza filtri giornalistici o istituzionali la viralità diventa criterio di selezione delle notizie. Ciò che conta non è la verità, ma la capacità di generare engagement. Il risultato è un’informazione deformata che trasforma in notizia qualunque episodio, anche se ingigantito, incompleto o falso.
Per il turismo le conseguenze possono però essere tangibili. Da un lato, la perdita di fiducia dei viaggiatori: troppi racconti negativi, non verificati, finiscono per scoraggiare prenotazioni o alimentare stereotipi. Dall’altro, un danno reputazionale per operatori e destinazioni che vedono compromesso il proprio lavoro a causa di episodi singoli. In più, la distorsione delle aspettative: se un turista si affida a video virali per scegliere una meta, rischia di immaginare un’esperienza che non esiste e di restare deluso, alimentando a sua volta recensioni negative. Infine, la dipendenza da strumenti digitali non infallibili, che possono fornire risposte errate quando usati come oracoli anziché come supporto.
La dinamica è chiara: l’ignoranza diventa una medaglia, l’errore una bandiera da sventolare, la superficialità un’occasione di visibilità. Chi sbaglia ottiene like, chi denuncia senza verificare conquista follower, chi si fida di fonti inadeguate riceve solidarietà. Tutto questo premia l’emotività, non la conoscenza. Nel breve periodo fa sorridere, ma nel lungo mina la credibilità del sistema turistico e riduce lo spazio per l’informazione corretta.
Le possibili soluzioni passano da più fronti. In primis, l’alfabetizzazione digitale: le nuove generazioni devono imparare a distinguere tra fonti affidabili e contenuti virali. Poi, il ruolo attivo degli enti turistici e dei giornalisti: intervenire tempestivamente, smentire bufale, contestualizzare dati e fatti. Serve anche maggiore responsabilità da parte degli influencer, chiamati a verificare prima di pubblicare e a dichiarare le proprie fonti. Infine, le piattaforme social potrebbero contribuire dando più spazio a contenuti verificati e a fonti istituzionali quando si parla di turismo e viaggi.
Il turismo si fonda su fiducia e reputazione. Senza queste, i flussi si interrompono e i territori perdono valore. Se lasciamo che l’informazione sui social proceda senza freni, rischiamo di ridurre le destinazioni a set per contenuti effimeri e le esperienze a scenette da condividere. Non basta mostrare, bisogna informare. Non basta piacere, bisogna raccontare bene. L’ignoranza non può diventare una medaglia: deve restare un errore da correggere, non un trofeo da esibire.

